Sono passati grosso modo quarant’anni dalla re-introduzione dei pit-stop in corsa. Ai tempi Gordon Murray, storico progettista della Brabham dell’era Ecclestone, individuò nel ritorno ai rabbocchi di benzina una soluzione geniale per contenere gli ingombri del serbatoio, altrimenti esageratamente voluminoso vista la sete del motore turbo BMW. La trovata ebbe vita breve, dato che dal 1984 fu proibito rifornire ai box, ma indiscutibilmente aprì gli occhi agli ingegneri di tutte le scuderie. Se fino a quel momento imboccare la corsia box equivaleva ad una condanna, dalle soste di Piquet e compagni in poi significava abbracciare un mondo di opportunità nuove. Un treno di pneumatici freschi poteva regalare giri finali all’arrembaggio, posizioni recuperate o, addirittura, vittorie insperate.
La figura dello stratega assunse sempre più importanza, raggiungendo il culmine dell’esposizione mediatica durante i primi anni 2000, quando a causa dei rifornimenti nuovamente permessi i sorpassi avvenivano quasi unicamente in corsia box. Gli spettatori, volenti o nolenti, furono educati alla perenne valutazione del passo, all’inevitabile di calcolo di distacchi ponderati in base alla benzina imbarcata al precedente pit-stop o, in tempi decisamente bui, nella parte finale della qualifica.
Un riflesso condizionato tanto potente non ha minimamente abbandonato il pubblico nel 2010, quando i rabbocchi di benzina tornarono ad essere vietati. Piuttosto si trasformò in una snervante tendenza, esasperata dalla coperture Pirelli a consumo rapido, all’individuazione della mescola montata da una monoposto. Il che, inevitabilmente, veniva e viene ancor’oggi accompagnato dal continuo giudizio delle strategie.
In una Formula Uno dove si fatica a sorpassare – anche se molto meno rispetto a qualche stagione fa -, la strategia riveste senza ombra di dubbio un ruolo fondamentale della corsa di un pilota. A maggior ragione se, come accade da due o tre stagioni, quasi tutte le gare vengono disputate sulla singola sosta. I muretti dei team hanno a propria disposizione una sola occasione, tanto per sbagliare quanto per eccellere nella decisione.
Per quanto detto in precedenza e per loro stessa natura, le strategie sono relativamente semplici da commentare. Non da capire, attenzione, ma da commentare. Chiunque segua un Gran Premio dispone dei distacchi in tempo reale, dai quali ricavare il passo di ogni vettura; ogni appassionato dispone ormai di un vero e proprio repertorio mentale delle strategie possibili, della prestazione delle mescole selezionabili e del tempo perso durante un pit-stop. Criticare una scelta del muretto diventa, soprattutto con il senno di poi, un gioco da ragazzi.
Il problema è che spesso le variabili in gioco sono molte, molte di più, ed i mezzi a nostra disposizione drammaticamente insufficienti. Prendiamo ad esempio la corsa di Leclerc ad Imola. Il monegasco nel corso del primo stint su Soft sembra soffrire nei primi giri, salvo poi godere con il passare delle tornate di un consumo gomma minore rispetto a Ricciardo, che lo precede in pista. Il passo della Ferrari numero 16 migliora, al contrario di quanto accade alla RS20 dell’australiano, e Charles ricuce il gap creatosi fino alla soglia del secondo e mezzo. Il problema è che, nel mentre, si porta dietro Albon, Gasly e le McLaren. A quel punto il muretto Ferrari si trova in un vero e proprio cul de sac. Superare ad Imola è complicato per tutti – la corsa lo ha inequivocabilmente dimostrato fino a quel momento -, figurarsi per la SF1000 dotata della catastrofica Power Unit 065/2. Gli uomini del muretto, a quel punto, hanno due opzioni: tentare l’undecut sulla Renault, anticipando la sosta ai box, oppure ordinare a Leclerc di mantenere alta la pressione su Ricciardo, sperando questi commetta un errore. Nel secondo caso, però, il monegasco avrebbe scoperto il fianco ad una sosta anticipata dello stesso Ricciardo e, soprattutto, di Albon o Kvyat. La scelta della mescola Hard, poi, è pressoché obbligata, visto che Hamilton, Vettel e Perez non hanno ancora mostrato quanto le gialle possano resistere alla distanza, informazione tra l’altro mancante visto lo scellerato formato di fine settimana privo del venerdì.
La seconda sosta invocata per Leclerc, invece, è quella sotto Safety-Car. Anch’essa però manca di solide basi logiche. Anzitutto Charles avrebbe perso posizioni, visto che almeno una delle McLaren (e forse anche Kvyat) non si sarebbero fermate in caso di una sua sosta ai box. Secondariamente la Rossa non disponeva di gomme Soft nuove, il che avrebbe giocato ulteriormente a sfavore rispetto ai diretti avversari data la cronica difficoltà nel mandare le coperture in temperatura della SF1000. Ultimo aspetto da non trascurare, nuovamente, è la scarsa potenza del motore del Cavallino; Vettel, in gran forma a Imola, non ha passato Grosjean (!) nonostante calzasse una Soft nuova. Come avrebbe potuto recuperare posizioni proprio Leclerc, mentre neanche Perez con l’ottima e potente Racing Point ci è riuscito?
Lo stesso tipo di valutazioni potrebbe essere condotto per la gara di ogni pilota. Dalla scelta di mescole e tempistiche della (sfortunata) sosta di Vettel allo stop di Raikkonen, dalla risposta di Bottas su Verstappen al pit finale di Perez.
Ogni decisione ha un contorno istantaneo (il senno di poi è un vantaggio dei soli commentatori) incredibilmente complesso. Pensare di conoscerlo sempre è utopico. Soprattutto, investire la strategia d'improbabili ruoli salvifici rispetto alle (scarse) prestazioni delle monoposto in difficoltà (quest’anno la Ferrari) distorce le valutazioni stesse. La SF1000 termina dietro alla Renault ad Imola a causa del motore sgonfiato, non del muretto box. Esattamente come Hamilton ha vinto ad Imola grazie a sé stesso – perché il talento del pilota ha un gran peso nella strategia -, e non alla Virtual Safety Car.
Ogni strategia ha una sua spiegazione. Ogni scelta è inevitabilmente volta a guadagnare posizioni, non certo a perderle. Ma, soprattutto, le decisioni sono condizionate da una sola, grande variabile: la vettura a disposizione. Tenetene conto, alla prossima crociata.
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