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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Alonso, Raggio di Sole tra le Ombre Ungheresi



Un Gran Premio che vede transitare per primi al traguardo due piloti appartenenti – fino allo spegnimento dei semafori – alla seconda metà della classifica, non può che essere una corsa folle.


La gara ungherese, da questo punto di vista, rischia seriamente di vincere la palma d’oro stagionale: un temporale poco prima del via, tamponamenti degni della peggior gara su kart a noleggio, improvvisi colpi di scena e duelli esaltanti. Ciliegina sulla torta, la vittoria di Esteban Ocon, mai salito prima sul gradino più alto del podio.


Paradossalmente, però, gran parte dello spettacolo creatosi durante il Gran Premio magiaro ha tratto origine da errori e regolamenti incomprensibili. A meno di un’occasione su cui ritorneremo in seguito – facilmente intuibile leggendo il titolo dell’articolo -, è parso di guardare una corsa durante la quale servisse prevalentemente trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Ad Imola, in condizioni metereologiche simili, assistemmo ad una corsa forse meno scoppiettante, di certo più godibile nell’intensità della sfida al vertice, nella purezza della guida in condizioni di bagnato e asfalto gelido. A Budapest, gran parte di tutto ciò è mancato.


Le occasioni in cui sono stati errori o sviste dei commissari a segnare irrimediabilmente la gara sono state molteplici.


Volendo esagerare nella durezza del giudizio, si potrebbe ad esempio obiettare come il pit-stop lento di Vettel abbia seriamente compromesso le chance di sorpasso del tedesco ai danni di Ocon, consegnando di fatto su un piatto d’argento la vittoria al francese. Il passo di Esteban è stato palesemente inferiore a quello del numero 5 per l’intera corsa, e se da un lato la totale assenza di errori nell’azione difensiva merita il massimo premio, dall’altro resta dell’amaro in bocca nel pensare quanto la battaglia in uscita dalla corsia box avrebbe potuto essere più avvincente, premiando il pilota globalmente più veloce.


Trattasi, però, di vere e proprie inezie, episodi giustificabili a cavallo di una stagione. Ben peggiore, rimanendo nei paraggi della corsia box, è stata la gestione dei momenti caotici durante le soste da parte della direzione gara.


Partiamo dall’episodio di Sainz e Tsunoda, francamente clamoroso. Per onestà intellettuale, appare imprescindibile sottolineare l’assurdità di un regolamento che permette a chi non si schiera in griglia, effettuando invece un cambio gomme, di non rispettare l’ordine di partenza al termine della pit-lane. Sarebbe semplicissimo per le squadre dare il via dalla piazzola solamente al momento corretto – o, al massimo, istruire il proprio pilota di cedere la posizione appena possibile – e per l’addetto ai semafori attendere qualche secondo prima di dare al via. Al contrario, come accaduto un anno fa proprio in Ungheria, puntualmente chi si ritrova con la piazzola di sosta a metà corsia perde una miriade di posizioni per lasciare che gli altri concorrenti lo passino, evitando di schizzare via dalla propria postazione creando pericoli.


Esattamente la situazione nella quale è incappato Sainz: terzo all’entrata della pit-lane, nonostante il pit-stop velocissimo dei meccanici Ferrari ha dovuto far sfilare due monoposto, ritrovandosi dietro a Tsunoda (uscito senza riguardi dai box e clamorosamente non penalizzato, a differenza di Raikkonen, solamente più sfortunato nel contatto con Mazepin) e Latifi.


Un’eventualità incomprensibile e fortemente antisportiva: in quel momento la corsa non era ancora ripartita, il ferrarista ha perso l’opportunità di giocarsi la vittoria con Ocon e Vettel e, soprattutto, lasciando possibilità di sorpasso di crea una situazione inutilmente caotica nella zona più pericolosa della pista per chi non è un pilota.


Non è finita qui: per quanto sia stato corretto penalizzare Raikkonen e Giovanazzi (entrato troppo veloce in corsia box), l’entità delle sanzioni ai due piloti Alfa Romeo è quanto meno d’impegnativa comprensione. Le gare dei due piloti del Biscione sono uscite distrutte da episodi penalizzati con molta meno foga in passato (uno stop and go per Giovinazzi è inaudito, soprattutto prendendo in considerazione la corsia umida), e se da un lato non si può che apprezzare il miracolo dei doppi punti Williams, dall’altro alle Alfa Romeo non è stata data neanche la possibilità di giocarsela - con 5’’ o 10’’ di penalità sul gruppone – in una delle poche corse alla fine delle quali i piccoli possono accumulare punti. Il tutto mentre Tsunoda, autore di una manovra analoga a quella di Raikkonen, non si è visto comminare alcuna sanzione.


Uno dei pochi errori che ha dato pepe alla corsa è stato quello di Hamilton e della Mercedes, sorprendentemente addormentati alla ripartenza e rimasti in griglia con le intermedie. L’inglese ha regalato un’ottima rimonta, ma siamo davvero certi che non sarebbe stato più intrigante vederlo battagliare sul bagnato con Verstappen per una decina abbondante di tornate?


Non è stato possibile, ovviamente, soprattutto a causa della doppia carambola avvenuta alla prima curva. Lasciando perdere l’azione di Stroll che è costata la gara a Leclerc – seriamente al di là di ogni logica umana -, i danni alla corsa, ai conti e ai motori Red Bull derivanti dallo strike di Bottas, che ha colpevolmente tamponato Norris franato poi su Verstappen e Perez, hanno ulteriormente alzato il livello di tensione – già alle stelle – tra Mercedes e Red Bull. Non se ne sentiva il bisogno e, francamente, una manovra tanto maldestra ha privato tutti gli spettatori di una battaglia intensa al vertice e rischia di segnare irrimediabilmente il campionato.

Troviamo molto complesso esaltarci se sono questi i colpi di scena da cui scaturisce un vincitore a sorpresa; eventi ben diversi, ad esempio, da quelli che permisero a Gasly di vincere a Monza la scorsa stagione.


Diventa quindi banale comprendere perché Alonso sia stato l’unico raggio di sole a Budapest. Unico pilota attivo e non reattivo in terra magiara, l’asturiano ha salvato la vittoria di Ocon mettendo in scena uno spettacolo memorabile nella difesa su Hamilton. A volte maschia, aggressiva e al limite, eppure mai, neanche per un decimo di secondo scorretta. Non a caso, a differenza dell’inglese, Fernando non ha spedito l’avversario fuori pista.


La decina di giri in cui la monoposto azzurra fendeva ogni attacco di una vettura infinitamente più veloce riassume - senza bisogno di troppi fronzoli - perché valga la pena seguire un Gran Premio di Formula Uno. È tutto concentrato in quei movimenti perfetti, quelle chiusure divine, quelle accelerazioni ritardate; sprint race, gomme colorate e aggiornamenti aerodinamici non valgono più nulla in qui frangenti.


Grazie, Fernando.


P.S. Nella serata di domenica, Sebastian Vettel è stato squalificato dal Gran Premio d'Ungheria a causa dell'insufficiente livello di carburante estratto dalla Aston Martin numero 5 a fine gara. Nel serbatoio della monoposto, infatti, i commissari hanno trovato solamente 0.3 litri di carburante, un valore inferiore al litro necessario per eventuali controlli post-gara. Conseguentemente, come da prassi in questi casi è scattata l'immediata squalifica. Il team di Silverstone sostiene però di avere a disposizione in vettura fino a 1.44 litri, ed ha perciò presentato intenzione d'appello, da rettificare entro 96 ore; nel frattempo, la classifica rimane sub-judice.

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