Circuito di Catalogna, Montmelò, sobborghi di Barcellona. È il 2 giugno 1996 e manca qualche minuto al via del Gran Premio di Spagna.
Diluvia. Diluvia come quando l’acqua, imperterrita, si infila in ogni pertugio lasciato libero dall’imperfetta angolazione dell’ombrello. Diluvia come quando il fragore della pioggia copre il suono del respiro mentre si è sotto le coperte. Diluvia tanto da far sì che il cadere delle gocce, catturato dai microfoni a bordo pista, arrivi fino a casa obbligando i telecronisti ad alzare impercettibilmente il tono della voce. Diluvia da così tante ore che le monoposto, le tribune, le luci e addirittura le persone si specchiano nell’acqua. Diluvia così forte che il cielo, grigio antracite, sembra qualche gradino più in basso del solito.
Eppure il Gran Premio si corre. Senza esitazioni, senza tanti fronzoli. Un giro di formazione e via, si parte. Nessuna vettura di servizio, neanche una tornata esplorativa. Ai piloti dovrà bastare il warm-up del mattino.
La prima casella della griglia di partenza è occupata da Damon Hill, la seconda da Jacques Villenueve. Le Williams-Renault. Ovvio, prevedibile, scontato. Cinque vittorie nei primi cinque Gran Premi; la sesta, praticamente certa dopo un perentorio dominio di Hill a Monaco, sfumata per problemi al cambio, ennesimo colpo di scena di una corsa assurda, terminata da sole quattro vetture e vinta da Panis su Ligier.
Le vetture bianco-blu progettate da Adrian Newey dominano senza reali avversari. Michael Schumacher, al primo anno in Ferrari, in sei gare ha conquistato al massimo la seconda posizione. Al Nürbrugring ha tagliato il traguardo a meno di un secondo da Villeneuve, a Imola ha siglato il giro più veloce della corsa, ma la vittoria è comunque rimasta distante. A Monaco, poi, il due volte campione del mondo tedesco ha attirato su di sé un fiume di critiche dopo una qualifica eccezionale, al termine della quale ha conquistato una pole position del tutto inaspettata. Pronti, via, sul bagnato ha sbattuto al Mirabeu basso. Sette curve. Sette curve è durata una corsa che tutti gli addetti ai lavori, nessuno escluso, prevedeva facile preda del ragazzo nato a Kerpen, già dimostratosi particolarmente abile in condizioni umide. E invece, un botto al primo giro. All’improvviso, e via di critiche, indignazioni e rimostranze per colui che, è bene ricordarlo, l’Avvocato aveva comprato per ‘più di un tozzo di pane’.
Michael parte terzo, ma in qualifica è rimasto distante da Hill poco più di un secondo. Monaco è rimasta, come prevedibile, un’agrodolce eccezione. La F310 è troppo nervosa e scorbutica per giocarsela con le Williams. Probabilmente anche Alesi, che parte 4° su Benetton ed è un mago del bagnato, le sarà superiore. In terza fila si schierano Berger (Benetton) e Irvine (Ferrari). Più indietro troviamo Barrichello (Jordan), Panis e il resto del gruppone, con le McLaren nobili decadute nei pressi della sesta fila.
Si accendono i semafori rossi. Schumacher, che a Monaco è partito a rilento a causa di una frizione capricciosa, stavolta non può sbagliare. Non deve sbagliare. E invece rimane praticamente fermo. Quasi piantato. Inghiottito dalla nuvola d’acqua sollevata da Villeneuve, lesto a passare l’imperfetto Hill, Alesi e lo stesso inglese della Williams, a cui seguono tutti gli altri.
Piove talmente tanto che guardando le immagini televisive non si comprende nulla. Niente di niente, a meno del pilota in prima posizione, schermato dalla pioggia che è talmente persistente da essere persino catturata dai tubi catodici del tempo. Schumi potrebbe essere decimo, sedicesimo, ventesimo o ancora in griglia. Per fortuna a metà giro lo si scorge, 7°, dietro a Barrichello e Irvine. Poche curve dopo passa la Jordan color oro. Sul traguardo è 6° a una decina di secondi dai primi.
Le condizioni sono davvero al limite. Sbaglia chiunque, indipendentemente dalla monoposto a disposizione. Alla 2° tornata è fuori Irvine, insabbiatosi dopo un testacoda. Al 4° giro Damon Hill finisce lungo alla curva Repsol, una piega destrorsa che segue il famigerato curvone Renault (terza piega della pista) e precede il tornante Seat, sinistrorso in discesa. Lo passano Berger, che diventa 3°, e Schumacher. Il figlio del grande Graham vivrà una delle giornate più complesse della carriera, finendo ancora una volta fuori pista prima di impattare le barriere all’uscita dell’ultima curva e ritirarsi al 12° passaggio.
Schumacher, intanto, comincia a volare. Conferma le attese dei pochi che si aspettavano molto da lui, disattende le previsioni di chi, complice la pochezza della monoposto, lo vedeva al massimo destinato ad un podio. Pressa Berger senza sosta e lo passa al 5° giro. In meno di due tornate recupera i 6’’ che lo dividono da Alesi. Sperimenta una traiettoria folle al curvone Renault, rimanendo tutto esterno a pochi metri dalla linea bianca che precede una via di fuga tanto imponente quanto insidiosa. Alla piega Repsol continua all’esterno per poi stringere all’interno della Seat. Può essere la giusta strategia di sorpasso.
Schumi la applica perfettamente al giro 9. Largo al curvone, frenata profonda, esterno alla Repsol; un centinaio di metri recuperati su Alesi e il muso della Ferrari sfiora il retrotreno della Benetton. Probabilmente il tedesco non vede nulla, inondato dall’acqua sparatagli in faccia dalle ruote posteriori della sua vecchia monoposto. Michael non si spaventa, segue l’istinto e si butta all’interno della curva Seat. È secondo.
Tre giri e la scena si ripete. Stavolta la vittima designata è il leader della corsa, Jacques Villeneuve. Due tornate per studiare il canadese, poi l’affondo. Seguendo le medesime mosse di una dozzina di chilometri prima. Allargando in uscita perché Jacques abbandoni immediatamente qualunque proposito bellicoso.
La Ferrari numero 1 è in testa al Gran Premio di Spagna. Sola, libera sulla strada del trionfo. Schumi potrebbe gestire, guadagnare quel tanto che basta per procedere serenamente verso la vittoria.
Non è così. Michael, finalmente privo di una nube d’acqua davanti agli occhi, inizia a macinare tempi stratosferici. Non ci crede nessuno. Né ai box, né in sala stampa, né nelle cabine di commento. Schumacher gira dai tre ai quattro secondi al giro più veloce dei diretti inseguitori.
È un qualcosa che solo i cronologici possono spiegare davvero: confrontate i dati con quelli di Alesi, secondo al traguardo dopo aver passato Villenueve alla 42° tornata (i due corroni il GP praticamente sullo stesso ritmo per tutti i 65 giri). Il tedesco è semplicemente di un’altra categoria, tanto da costruire in poche tornate il margine per effettuare il primo stop (circa 40'' in quindici - 15!- giri), rientrare in testa, ricominciare a guadagnare e poi gestire il finale di gara. Senza mai perdere la prima posizione, nonostante la frizione capricciosa di cui sopra e una seconda metà di corsa affrontata senza due cilindri su dieci a causa di un guasto. Eppure, al 58° giro Schumi fa segnare un tempo più veloce del migliore di Alesi e tre secondi più lento del proprio responso assoluto (il più veloce della corsa), segnato al 14° giro.
Intorno alle 16 del 2 giugno 1996 Michael Schumacher vince la sua prima corsa al volante di una Ferrari. Dimostrando che, in fondo, Giove Pluvio viene da Kerpen.
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