Esistono giornate in cui il sole non dà tregua. Scalda all’inverosimile il terreno, le persone e le automobili. Rende imprevedibili corse già scritte. Il 21 giugno 1981 è una di quelle giornate. Jarama, periferia di Madrid, dove la terra prende già il colore delle infinite distese brulle della penisola iberica. E brucia, arde sotto il sole cocente: le colonnine di mercurio segnano 41°C. L’asfalto ribolle, ed il pulviscolo che ci finisce sopra, complice un autodromo dove l’erba è perennemente latitante, non ne diminuisce minimamente la scivolosità. Sarà una gara durissima.
Il tracciato castigliano è lento, tormentato e decisamente insidioso. Il nastro d’asfalto è stretto, e la maggior parte delle curve richiede traiettorie obbligate, rendendo difficilissimi i sorpassi. Solo la prima svolta, la destrorsa Nuvolari dopo un lungo rettifilo, regala ai corridori vere possibilità di sorpasso. Il resto delle pieghe ha nomi altrettanto evocativi: Fangio, Varzi, Le Mans, Farina, Picasso, Ascari, Portago, Bugatti, Monza. Ognuna sembra abbordabile, una sfida verso la quale portare rispetto senza però spaventarsi più di tanto. Sulla carta è così, anche grazie alle monoposto ad effetto suolo dotate di enormi livelli di carico, ma il caldo cambia tutto. E a Jarama, quel giorno, si boccheggia.
La pole position è di Jaques Laffite, su Ligier. Seguono le Williams di Jones e Reutmann.
La Williams FW07C, arrivata alla terza evoluzione dopo il successo nel campionato precedente, è la vettura da battere. Nessuno è stato capace di interpretare i canali Venturi come Patrick Head, primo a comprendere l’importanza di accompagnarvi un telaio estremamente rigido, capace di sostenere gli enormi sforzi imposti dai carichi aerodinamici. I team inglesi, poi, hanno elaborato un sistema tanto furbo quanto eticamente scorretto per aggirare i controlli sulle altezze da terra, aumentate per regolamento rispetto alla stagione precedente: dei correttori d’assetto idraulici abbassano la vettura una volta entrata in pista, rendendola conforme alle norme solo durante la permanenza ai box, il che minimizza enormemente la perdita di prestazioni dovuta alla contemporanea messa al bando delle minigonne (perché in fondo certe abitudini in Formula 1 non si perdono mai, neanche nel presente, ndr). Le scuderie d’oltremanica montano tutte il compatto Cosworth DFV 8 cilindri aspirato, perfetto per alloggiare enormi condotti aerodinamici nel sottoscocca. La sola Ligier, motorizzata Matra V12, è dotata di un telaio capace di raggiungere il livello di competitività di McLaren (la Mp4 è la prima monoposto in carbonio della Storia), Brabham e Williams. L’Alfa Romeo fatica a tenere il passo pur godendo di una buona velocità, anch’essa penalizzata dal V12, mentre Ferrari e Renault sono alle prese con la sfida del motore turbo.
I piccoli propulsori V6 (1500 cc rispetto ai 3000 cc degli aspirati) esprimono potenze irraggiungibili per le architetture avversarie, ma sono ancora troppo pesanti, ed il lavoro di sviluppo da essi richiesto costringe le scuderie a trascurare il telaio e l’aerodinamica. Così la Ferrari 126 CK e la Renault RE30 dispongono di un gran vantaggio in accelerazione, mentre pagano nelle curve, lente o veloci che siano. Proprio per questo motivo la vittoria di Villeneuve a Montecarlo, tre settimane prima, ha sconvolto il mondo dell’automobilismo sportivo: si pensava che una vettura turbo non avrebbe mai potuto trionfare tra le stradine del Principato. Eppure Gilles era riuscito nell’impresa, alla quale aveva contribuito il suo talento cristallino e qualche rottura di troppo tra i piloti di testa. Una vera sorpresa, anche se per chiunque sarebbe dovuto rimanere episodio circoscritto. Non ripetibile: il settimo posto in griglia del canadese a Jarama lo conferma. Le rosse (Pironi è 13°) non saranno della partita, come difficilmente potrà esserlo la Renault di Prost, 5°. Se il motore turbo ha aiutato a contenere i danni in qualifica, così tante curve con brusche accelerazioni seguenti e così tanto caldo non potranno che rendere ingestibile il calo delle gomme posteriori di Renault e Ferrari. La corsa se la giocheranno Williams, Brabham e Ligier.
Nessuno tiene realmente in considerazione il vincitore di Monaco. Nessuno crede che nel deserto iberico, nel caldo asfissiante di una giornata estiva, possa emergere tra tutti ed incantare il mondo un canadese che ha imparato a guidare sulle motoslitte da neve. Nessuno può immaginare che Gilles Villeneuve, a Jarama 1981, pennellerà il suo Capolavoro.
Allo spegnimento dei semafori Laffite scatta malissimo. Prende il comando Jones, seguito da Reutmann e Villeneuve, autore di uno scatto portentoso. La Ferrari numero 27 non molla la Williams dell’argentino: Gilles sa che i primi giri sono l’unico momento durante il quale la sua Ferrari vale quanto le vetture migliori, impegnate a non stressare eccessivamente gli pneumatici in vista di 80 giri infiniti. Quasi che un filo invisibile lo legasse al cambio dell’avversario, Gilles rimane vicinissimo durante tutta la prima tornata. Arrivati al rettifilo principiale, sfodera tutta la cavalleria della rossa, recuperando diversi metri su Reutmann, affiancandolo e superandolo all’esterno grazie ad una poderosa staccata alla curva Nuvolari.
Gilles è secondo, ma non riesce a tenere il passo del campione del mondo Jones. Lo vede allontanarsi sempre di più. Fino a quando Alan, alla 12° tornata, diventa la prima vittima del caldo, del sudore, dell’asfalto scivoloso: la sua Williams rimane insabbiata per trenta lunghissimi secondi, ed il burbero australiano finisce risucchiato a centro gruppo. Villeneuve è in testa.
La Ferrari numero 27 e la Williams numero 2 sono una l’ombra dell’altra. Il distacco non supera il secondo. Il motore turbo regala metri preziosissimi a Villeneuve in fondo al dritto, metri che inesorabilmente vengono recuperati tra le curve dalla monoposto bianco-verde. Reutmann ha una guida pulita, precisa, senza sbavature, accompagnata da una vettura stabile. Gilles arrotonda le traiettorie eppure è quasi sempre in controsterzo, frena tardissimo e copre ogni spazio utile ad un attacco. Le sue coperture iniziano a deteriorarsi, ma chi si avvicina al ritmo dei primi due, comunque proibitivo per la prima metà di gara, corre rischi altissimi: Prost finisce nella sabbia, come Andretti (Alfa Romeo) e Piquet (Brabham). Lo specchio della corsa è il commissario posizionato all’interno della curva Nuvolari, ovviamente privo di protezioni ed a pochi metri dalla pista: ad ogni passaggio della coppia di testa il suo capo segue il duo fin dove la vista lo permette. La difesa di Gilles è commovente, eroica, inscalfibile.
Le Michelin della rossa, però, non lo sono. Il ritmo cala sempre di più, e gli avversari si avvicinano velocemente. Lafitte, risalito in terza posizione scavalcando con un gran sorpasso la McLaren di Watson, raggiunge Villeneuve e Reutmann al 60° giro, seguito dallo stesso Watson e dalla Lotus di De Angelis pochi secondi più indietro. Reutmann capisce che è arrivato il momento di sferrare l’attacco decisivo: tenta di affiancarsi a Villeneuve nel tratto misto, ma la chiusura del canadese gli fa perdere quel tanto che basta per renderlo vulnerabile all’attacco di Lafitte. Il francese lo affianca in fondo al rettilineo principale, sfoderando tutti i cavalli del glorioso V12 d’oltralpe. Il sorpasso riesce e l’argentino, fin lì vero sfidante di Gilles, perde momentaneamente concentrazione, tanto che poche curve dopo viene sopravanzato anche da Watson, furbissimo nello sfruttare al meglio un doppiato.
Gli ultimi 15 giri del Gran Premio di Spagna entrano istantaneamente nella Storia della F1. Non serve neanche che intervenga la patina del tempo a rendere più emozionante il finale di gara rispetto a quanto davvero accaduto: gli spettatori osservano increduli la corsa. La pit-lane è popolata da addetti ai lavori tanto sbigottiti quanto divorati dalla tensione. Il distacco tra Gilles Villeneuve, primo, ed Elio De Angelis, quinto, non supera il secondo e mezzo. Le carrozze centrali del trenino sono composte da Lafitte, Watson e Reutmann. La Ligier blu attacca con vigore crescente la Ferrari numero 27, la punta ad ogni curva, esplora qualunque pertugio. Il turbo della rossa, magistralmente sfruttato da Villeneuve in uscita dall’ultima piega, regala al canadese quei pochi, decisivi metri di vantaggio ad ogni tornata. Superarlo alla prima curva è impossibile.
L’asfalto di Jarama si trasforma nelle stradine di Pamplona: Gilles è un Corredor inseguito da quattro tori scatenati, che solo lui riesce a contenere. Frena forte, all’ultimo momento e nella zona più sporca del tracciato, per non farsi mai sorprendere all’interno. Accelera prima di tutti, controllando la sbandata innescata dalla turbina che, dopo attimi di calma apparente, sprigiona ruvidissimi cavalli urlando al mondo la potenza del motore emiliano. Mai un errore, uno sbaglio, una piccola sbavatura: 78 lunghissimi giri con gli specchietti che mostrano monoposto sempre più vicine, piloti smaniosi di sottrarre la vittoria all’Aviatore. Che resiste, resiste alla grande.
Villeneuve, Lafitte, Watson, Reutmann e De Angelis transitano sotto la bandiera stacchi contenuti in un secondo e duecentoquaranta millesimi. 1"240. La prima vettura a motore turbo, la Renault di Arnoux, paga più di un minuto di distacco.
Jarama 1981: la perla di Gilles.
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