È bastato che si sfiorassero. Un tocco leggero, quasi impercettibile, ma con un’angolazione semplicemente perfetta. La gomma anteriore destra di Leclerc stallona a 300 all’ora, creando vibrazioni tanto forti ed improvvise da far collassare cerchio e braccetti di sospensione e sterzo. La SF90 di Vettel non ne esce molto meglio: la copertura posteriore destra, rimasta sulle tele, squarcia completamente il fondo.
Fossero solo questi, i danni, ci si metterebbe il cuore in pace. Capita, al massimo si è perso un podio che poco avrebbe aggiunto ad una stagione ben al di sotto delle attese. Il problema è che non è così.
Non lo è perché le corse sono tutto, ma proprio tutto, tranne che uno sport dove l’umano non conta nulla. Anche la F1 di adesso. Dietro ai caschi nascosti dall’Halo ci sono emozioni, aspirazioni, condizionamenti, paure, storie. E per quanto sembra non facciano alcuna fatica i piloti di oggi, per quanto si percepisca appena la complessità del perpetuo, incessante operare regolazioni sul volante mentre si pennella la stessa identica traiettoria ad ogni giro, non bisogna dimenticare come il pallino del gioco lo abbiano in mano loro. Certo, difficilmente vinceranno senza essere accompagnati dalla monoposto migliore. Basta però un errore piccolissimo, una staccata sbagliata, ed il lavoro di un intero fine settimana svanisce. Non rimane nulla, e nessun meccanico, nessun ingegnere, nessun cervellone elettronico può intervenire.
Il contatto di Interlagos è impregnato di umanità. Lo è nelle premesse, lontane o vicine nel tempo. Lo è nello svolgimento. Lo è nelle reazioni, tanto dei diretti interessati quanto degli appassionati. I giorni dopo la gara sono stati tutto un analizzare, inveire, accusare, difendere. Cerca il precedente, confronta, ferma l’immagine (ma come si fa a valutare frame per frame un’azione che si svolge a 300 all’ora, costruita su decisioni da prendere in centesimi di secondo, finendo per scambiare un avvallamento per una sterzata?). La colpa è tutta di Vettel, no aspetta però Leclerc nel primo giro ha fatto di peggio con Norris, non dimenticare che la linea bianca del rettilineo non è completamente dritta, che poi siete solo i soliti ferraristi voltagabbana, ora si difende Leclerc sempre per partito preso. Forse sostieni che abbiano entrambi colpe ma uno dei due un pelo di più? Lo odi! Vogliamo parlare poi del muretto, che non li sa proprio gestire (fino a due settimane fa era accusato di non lasciarli liberi di correre, ehm). Insomma, in modo più o meno giustificato, elegante, ragionato, ognuno ha detto la sua. Tutto sommato, anche questa è umanità. Uno scontro tra le due rosse è naturale susciti tanto fervore, dovuto a dispiacere, nervosismo, frustrazione. I commenti poi hanno mostrato come la spaccatura tra i piloti, tranne casi fortunati, si rifletta in molto del popolo ferrarista. O si appoggia uno, oppure l’altro. Poche le vie di mezzo.
Da una parte c’è Sebastian. L’esempio perfetto di quanto la testa conti nelle corse, si direbbe. Molto di più del piede destro. Siamo davvero sicuri sia testa, mentalità, ragionamento? Fosse solo quello, basterebbe un mental coach. Invece c’è dentro cuore, tristezza, sogni infranti, timori futuri. Sbaglia chi derubrica la chiusura a Leclerc, per quanto leggera e costante, solamente ad un legittimo movimento tipico dei duelli in pista, e banalmente sfortunato nell’esito. Al di là di quanto la fermezza di Charles fosse facilmente intuibile, e di come al tedesco sarebbe bastato mantenere il volante dritto per terminare il sorpasso, quanto conta non è il movimento in sé, perché è innegabile che nel risultato finale abbia giocato un ruolo importante il caso. Sono le intenzioni di Sebastian ad essere fondamentali nel discorso. Dentro ad un GP dove è stato tanto veloce quanto costante, Vettel si è dimostrato incredibilmente corretto con gli avversari. Prima con Hamilton e poi con Albon la sua difesa, seppur accennata, non è mai sembrata disperata. Così come l’attacco al thailandese non ha visto un affondo senza precedenti. Magari ciò deriva da un feeling in frenata non ancora ottimale con la SF90. Eppure non si riesce a togliersi dalla testa l’immagine di un interruttore che scatta, dentro al numero 5, una volta superato da Leclerc alla S do Senna. Un’ombra lontana ma capace di trasformare un galantuomo fuori dalla vettura in qualcosa d’altro. In un pilota che per un inverno intero cova vendetta nei confronti di Webber, reo di averlo stretto in partenza ad Interlagos nel 2012, durante l’ultima corsa di un mondiale in bilico tra lui ed Alonso, per poi passarlo senza pietà in Malesia, la primavera successiva, disobbedendo ad un ordine di squadra che congelava le posizioni e vincendo la corsa. Oppure nel campionissimo che tira fuori un giro meraviglioso a Suzuka, un mese e mezzo fa, salvo pasticciare poi con la frizione in partenza, sprecando la Pole Position, ultima delle sbavature che hanno costellato, con conseguenze più o meno gravi, le ultime due stagioni di Sebastian. Dentro alla sterzata di domenica scorsa c’è un moto di ribellione che non può e non deve essere dimenticato. C’è un fenomeno di portata storica (quattro titoli non sono un caso) che ancora non è guarito, che sembra aver trovato nella Ferrari, dopo la maledetta stagione 2017, quella ragazza davanti alla quale ti impappini, le parole s’impastano in bocca ed ogni volta che la guardi diventi tutto rosso, così finisci per non riuscire mai a fare colpo davvero. C’è un uomo che vede minacciato il sogno di una vita, che probabilmente non percepisce più fiducia incondizionata da parte di chi lavora con lui, visto che recriminazioni non mancano da ambo le parti.
Nell’altra metà del box vive Charles. Il nuovo eroe di gran parte del popolo rosso. Il ragazzo giovanissimo che quasi sembrava timido, ma che ha tirato fuori gli artigli sin dalla seconda gara. Colui che ha riportato la rossa sul gradino più alto del podio a Monza, dopo una corsa al cardiopalma, una vittoria tanto sofferta quanto esaltante. Un mago delle Pole, uno di quelli che sembrano averne di più, in particolare nel giro secco. Eppure il pacchetto non è completo: ricordando diversi grandi del passato, Vettel compreso, Charles ha dimostrato di poter tramutare quella che sembra una sconfinata fame di vittoria in manovre al limite. Chiusure secche, cambi di traiettoria, scie promesse ma donate a metà. Il tutto senza quasi mai andare oltre le regole, ma portando sempre enormi quantità d’acqua al proprio mulino. È scorretto lasciare lo spazio di giusto una vettura al proprio compagno di squadra, mentre questi si avvicina molto più veloce? È scorretto cambiare solo minimamente la propria traiettoria quando questi si affianca, elevando al cubo le possibilità di contatto? No, non lo è. Semplicemente, è spietato. È quasi irrispettoso. È istinto da cannibale, tanto domabile quanto da meglio centellinare nel futuro. Non è nulla, però, che manchi o sia mancato a Sebastian Vettel. Piuttosto, ultimamente nel tedesco è stato oscurato da altro.
E adesso? Quali eventi aspettano la Scuderia Ferrari il prossimo anno? Si può gestire la tempesta di due umanità non banali, perché caratterizzanti piloti fortissimi, campioni in erba o affermati, prime donne senza alcuna volontà – o forse capacità – di condivisione? La rivalità tra i due, in questa stagione, ha praticamente esaurito il repertorio degli scontri. Mentali, mediatici, nascosti, fisici. Le alternative, per tutti, sono poche e dolorose, da ogni punto di vista. Le regole d’ingaggio, per quanto arzigogolate, destinate al fallimento, in particolare in caso di bottini importanti a portata di mano.
Non resta che allacciare le cinture, allora. Prepararsi a vivere il proseguo di una rivalità che entrerà non solo nella storia della Ferrari, ma dell’intera F1. Si propenda per uno o per l’altro, si voglia solo il bene della Rossa, la sfida sarà densa di quanto rende unico guidare un proiettile di 750 kg rischiando la vita. Pura, semplice e meravigliosa umanità. Fino all’ultima staccata.
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