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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Ferrari e Le Mans 2023 - Tra Ragione e Mito


Ferrari 275P, Vaccarella-Guichet, vincitori Le Mans 1964

Sì, è vero, la Ferrari a Le Mans non ha mai smesso di correre. E di vincere, verrebbe da aggiungere, dati gli spettacolari trionfi di classe delle varie 458 e 488 GTE, solo per citare le ultime belve di una lunga stirpe. Storie calde, appassionanti, narrazioni di successi contro Case ben più equipaggiate di realtà stupendamente dignitose come Michelotto e AF Corse, convintamente aiutate da Maranello ma quasi mai dotate della stessa potenza di fuoco di Ford, Porsche, Aston Martin, Corvette e BMW.


Non per questo, però, si può sottovalutare il carico emozionale, tecnico e sportivo del ritorno Ferrari nella lotta per l’assoluta dal 2023. Perché volendo – e lo faremo tra pochissimo – si potrebbero accumulare centinaia di parole sulla valenza progettistica e commerciale di una rinnovata avventura nella categoria regina del Mondiale Endurance (alla quale aggiungere, possibilmente, la 24h di Daytona); senza però assumere il ruolo di notai delle corse, senza maneggiare il bilancino dei pro e dei contro, è possibile rendersi conto in un nanosecondo della valenza storica del gesto. La Ferrari torna a casa. Perché Le Mans è LA corsa, uno dei due soli luoghi al mondo – l’altro è Indianapolis – dove la classifica del campionato perde importanza. Non parzialmente, come accade a Monaco in Formula Uno, ma del tutto. Dal secondo mercoledì di giugno alla domenica, il mondo dei motori gravita non lontano da Parigi. Le leggende, i ricordi, le sconfitte e le vittorie si scrivono e celebrano ogni anno tra gli stessi alberi, i medesimi terrapieni e gli infiniti rettifili dell’Hunaudières. Chissà, in un futuro non meglio definito Leclerc potrà festeggiare un titolo iridato a Ryad, o forse ad Abu Dhabi, o magari ad Interlagos. Un contorno, una fotografia. A Le Mans, invece, la scena è tutta del luogo, il trio dei vincitori è scelto dalla pista e gli sfidanti sconfitti – sempre che non siano finiti tra gli alberi a 300 km/h – rimangono fuori dal mito, esclusi per almeno altri dodici, infiniti mesi. O magari tutta la vita.


Se non si comprende la magia della 24 ore, non è possibile neanche lontanamente afferrare la portata della notizia, il rinnovato incastro tra due veri e propri Miti dell’automobilismo.


LA RAGIONE


Prima di tuffarci in una storia che aiuti a comprendere meglio cosa significhi Le Mans tanto in sé quanto per la Ferrari, è interessante provare a capire il perché della scelta di Maranello.


Il nuovo regolamento finanziario in Formula Uno ha introdotto un tetto di spesa (comunemente noto con il termine inglese Budget Cap) di 145 milioni di dollari per le attività strettamente tecniche delle scuderie. Considerando la conseguente esenzione degli stipendi dei piloti, delle attività di marketing e di vari altri cavilli, potremmo stimare una riduzione complessiva nelle spese delle grandi scuderie di grosso modo 100-150 milioni di dollari, anche grazie a varie altre limitazioni sull’utilizzo temporale di risorse quali la galleria del vento.


Ognuno dei top-team ha elaborato diverse strategie per fronteggiare un vero e proprio terremoto organizzativo. Tutte e tre le squadre hanno anzitutto dirottato parte del personale a scuderie amiche (Haas per la Ferrari, Alpha Tauri per la Red Bull), con il chiaro obiettivo di evitare travasi di conoscenza agli avversari e, in vista del regolamento 2022, sfruttare le numerose sinergie tecniche permesse dalle norme.


Mosse del genere non sono comunque sufficienti. La strategia è quindi improntata sull’impegnare parte degli uffici tecnici in attività differenti dalla massima serie. Red Bull e Mercedes – da diversi anni per la verità - hanno preso ispirazione da McLaren creando una divisione di Tecnologie Applicate, sulla quale verranno concentrate risorse aggiuntive da questa stagione. La scuderia austriaca, ad esempio, ha progetto l’Aeroscreen che protegge i piloti Indycar, mentre la Casa della Stella a Tre Punte ha avuto un ruolo significativo nell’avventura di Ineos Team UK in Coppa America, anche se i risultati non hanno del tutto sorriso alla compagine d’Oltremanica.


La Ferrari, al contrario, ha deciso d’imbarcarsi in un’avventura sportiva ben più sfidante. La realizzazione completa di una Hypercar richiederà sforzi produttivi ben diversi dalle sole consulenze progettuali. I vantaggi ad essa connessi sono però molteplici. Anzitutto sarà molto più facile preservare gran parte dei posti di lavoro altrimenti a rischio, anche al di là della ben più stringente legislazione lavorativa presente in Italia; decisioni del genere non possono che onorare, soprattutto in questo momento, la proprietà torinese. Secondariamente un progetto integrale potrà, nel tempo, rappresentare una vera e propria palestra per i giovani ingegneri destinati alla Formula Uno, quale che sia l’area di specializzazione; fornire il solo motore ad una LMDh non avrebbe garantito le stesse opportunità. Entrambe le realtà (F1 ed Endurance) potranno godere poi di un rilevante travaso tecnologico. Basti pensare che l’unità motrice destinata alla categoria Hypercar combina un motore elettrico all’anteriore (200 kW) che può operare solo superati i 120km/h, mentre il propulsore termico deve fornire in ogni frangente la restante potenza necessaria a raggiungere la soglia regolamentare dei 500 kW (680 cv), dovendo così mantenere alte efficienze in un range di condizioni significativamente ampio. Infine, l’omologazione richiederà la vendita di almeno 20 vetture stradali derivate dal prototipo, il che rappresenta – per la Ferrari – la parte decisamente meno complicata dell’avventura, oltre che la più remunerativa.


LA PASSIONE


Logicamente, quindi, la scelta dei vertici Ferrari è quantomeno comprensibile, se non condivisibile. Gli appassionati, però, vorranno vedere la Rossa vincere. Ottenere il decimo trionfo assoluto a Le Mans, completando la serie iniziata nel 1949 (prima vittoria estera di prestigio assoluto per Enzo Ferrari), proseguita nel 1954, 1958 e dal 1960 al 1965.


Proprio quest’ultima edizione (raccontata nel capitolo 7 di Le Mans, 24 ore di Corsa 90 anni di storia, Mario Donnini, Giorgio Nada Editore) riassume magistralmente tanto il fascino della maratona della Sarthe quanto l’epopea delle Rosse di Maranello nella Loira.


A metà degli anni ’60 nel mondo Endurance infuria la lotta tra Ferrari e Ford. Henry Ford II vuole vendicarsi del gran rifiuto del Drake, avvenuto due anni prima, e scalzare finalmente dal vertice dell’automobilismo sportivo la piccola casa modenese. Ai tempi le corse di durata sono ben più famose dei GP, e le cifre spese dalle Case per parteciparvi raggiungono vette astronomiche. Non si può arrivare dietro ad una fabbrica dalle dimensioni minuscole. La sfida al calor bianco ha un effetto catastrofico sulle vetture ufficiali: prima del mattino, sia Ford che Ferrari hanno perso le proprie biposto. Alcune sono ritarate, altre eccessivamente distaccate. Resistono solo le Rosse della NART, la scuderia dell’importatore statunitense Luigi Chinetti.


La Ferrari 275 LM numero 21, affidata a Rindt-Gregory, conduce le danze. La notte è piovosa, ed all’alba l’occhialuto americano rientra precipitosamente ai box. La nebbia alzatosi nella foresta crea troppa umidità, i suoi occhiali si appannano e non ci vede più nulla. Deve sostituirlo Rindt, giovanissimo austriaco di ottime speranze (sarà campione del mondo F1 postumo nel 1970). Jochen, però, non si trova. Le corse di durata non gli sono mai piaciute, si annoia, e chissà dov’è finito nella notte francese. Dietro la numero 21 vi sono altre due Ferrari, ma perdere la biposto di testa sarebbe un dramma. Tanto per la NART quanto per Maranello; in fondo gli altri prototipi sono saltati tutti, uno ad uno, e così la vittoria è ben lontana dall'essere certa. In attesa che la nebbia si diradi, viene fatto salire in macchina Ed Hugus. È un buon pilota americano, sconosciuto ai più, specialista di Le Mans e riserva per la vettura 21 dopo che la sua non ha neanche preso il via a causa di guai tecnici.


Ed balza al volante, corre per più di un’ora volando, senza causare il minimo problema e consegnando la belva a Gregory appena il sole rischiara la pista. Salva la vittoria, insomma, perché poi la Rossa numero 21 vince davvero. Eppure, rimane un fantasma. Non sale sul podio, non è presente nell’albo d’oro, non viene ricordato. Banalmente, un cavillo regolamentare sancisce l’impossibilità per un pilota sostituito di risalire al volante. Rindt, allora, non avrebbe potuto concludere la corsa come invece gli viene permesso di fare dalla NART. Errore in buona fede o meno, nessuno può sapere del misfatto, altrimenti la 21 verrebbe squalificata.


Hugus rimane così in silenzio per tutta la vecchiaia, confermando l’accaduto solo in una lettera ad un tifoso pochi mesi prima di morire. Diventando così un eroe sconosciuto dell’epopea Ferrari, personaggio chiave nell’ultima Le Mans tinta di rosso, perfetto interprete di una lunghissima tradizione di personaggi epici legati alla più grande delle corse.


È in una leggenda del genere che sta tornando il Cavallino Rampante.

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