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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Il Re dalla Carrozza Sbagliata


Cristiano Barni / Shutterstock.com

Ora è ufficiale: Lewis Hamilton è sei volte Campione del Mondo di F1. Che poi, da solo, il numero sei non dice proprio nulla. Spiega qualcosa, di molto importante anche, quando lo si compara con le cifre di altri grandissimi della storia di questo sport. L’inglese ha conquistato l’iride il triplo (triplo!) delle volte rispetto a Fernando Alonso, Mika Hakkinen, Alberto Ascari e Jim Clark tra gli altri. Il doppio di Ayrton Senna. Eppure ha un problema, non solo in Italia, ma anche in Gran Bretagna ad esempio, sua terra natìa. In tanti hanno faticato, faticano e faticheranno nel riconoscerne l’assoluto valore. Sul pilota nato a Stevenage aleggia da sempre, e si è rafforzata in questi anni di dominio assieme a Mercedes, un’aurea d’incertezza rispetto a quanto di suo ci sia nei 6 titoli conquistati fino ad ora. È una sensazione difficilmente percepibile con chiarezza, ma manca fondamentalmente a Lewis quell’ascendente, quella capacità di fagocitare attenzioni, complimenti, ammirazioni che ha pervaso la carriera di campionissimi come Schumacher o Senna. Dovessimo condurre un sondaggio tra gli appassionati chiedendo di rivelarci il primo volto che associano alla parola “F1”, sono fermamente convinto sarebbero molte, molte poche le risposte a favore di Hamilton. Tutto ciò è corretto? Lewis Hamilton è o non è uno dei più grandi piloti che abbiano mai corso nella massima competizione motoristica? Siamo davanti ad una leggenda o ad un eccelso conduttore, fortunato nel guidare per la scuderia capace di egemonizzare un’intera era dello sport?


Rispondere seccamente è difficile, se non impossibile, soggettivo ed ingiusto. Serve anzitutto considerare due aspetti fondamentali. È probabile che un giorno lontano, una volta ritiratosi da un po’, Hamilton possa godere di maggiore considerazione per il solo passare del tempo. In fondo, tra dieci anni, chi si ricorderà delle prestazioni inaspettatamente ondivaghe della Ferrari 2019, quando leggerà della decina e passa di vittorie di Lewis in questa stagione? La F1 di oggi, dov’è possibile seguire ogni singolo metro percorso in pista dalle monoposto, ci regala aspettative dovute a prove libere bugiarde che un tempo dimenticheremo, scordandoci di come fossimo convinti, senza in realtà averne capito molto, che dopo il miglior tempo al venerdì Vettel avesse già le mani sulla coppa del vincitore. Perché diciamocelo, è questo che succede nel nostro cervello durante una stagione di corse: per quanto ci si possa sforzare, è inevitabile illudersi riguardo alle possibilità di vittoria della propria scuderia o del proprio pilota preferito. Se questi non è Hamilton, o la Mercedes, quando poi la freccia d’argento 44 sbaraglia la concorrenza alla domenica, spessissimo per la vulgata ciò non è dovuto ai suoi (essenziali) meriti, quanto agli errori altrui. In secondo luogo, Lewis Hamilton non ha mai vinto un mondiale con la Ferrari: tale mancanza, in Italia soprattutto ma in realtà nell’intera comunità del motorsport, è innegabile ne penalizzi, almeno in parte, la percezione. In fondo un’iride con la rossa ha tutto un altro peso, e la caccia all’impresa può segnare, condizionare e caratterizzare intere carriere (ogni riferimento a piloti attualmente in forza a Maranello è incidentalmente casuale). Insomma, avesse appena conquistato il sesto mondiale per il Cavallino Rampante, il buon Lewis tra Alpi e Sicilia godrebbe di un indice di popolarità invidiato da politici, imprenditori, calciatori, soubrette ed alti, altissimi prelati.


Sulla carriera di Lewis, poi, pesano due momenti di più o meno seria difficoltà: la sconfitta mondiale ad opera di Rosberg nel 2016 ed i difficili anni al fianco di Button in McLaren, durante i quali non riuscì mai ad opporsi allo strapotere Red Bull tanto bene quanto, ad esempio, fece Fernando Alonso. Questo nonostante la monoposto di Woking fosse spessissimo superiore alla Ferrari dello spagnolo. Si volesse difendere a tutti i costi Lewis, non sarebbe troppo complesso elencare i numerosi problemi di affidabilità che lo afflissero durante le suddette stagioni negative. Allo stesso modo, gli infaticabili detrattori potrebbero sottolineare come, in fondo, altri grandissimi perseguitati dalla sfortuna siano comunque riusciti a terminare il mondiale davanti al compagno di squadra.


Arrivando alle conclusioni, è innegabile che nei sei mondiali vinti da Hamilton la vettura abbia svolto un ruolo importantissimo. Ruolo addirittura imprescindibile, in particolare con uno sguardo al futuro, nella probabile conquista del record di maggior numero di vittorie in carriera (ne possiede 83 rispetto alle 91 di Schumacher). In fondo però, quanti dei piloti iridati nell’era moderna, l’era dell’affidabilità assoluta, ebbero a disposizione una vettura globalmente inferiore? È complicatissimo ricordarsene, forse proprio il solo Lewis nel 2008 disponeva di una McLaren inferiore alla Ferrari di Massa (molto sfortunato in diverse occasioni). Ciò che invece consegna Hamilton alla leggenda, secondo chi scrive, quanto lo rende uno dei più grandi di tutti i tempi, non è la velocità pura, non è il primato nelle partenze al palo ghermito tempo fa. È la crescita che ha saputo mostrare dopo la sconfitta con Rosberg nel 2016: da lì in poi Lewis è stato, semplicemente, inarrestabile. Si fatica a ricordarne errori pesanti nell’economia del mondiale. In tanti, troppi sembrano scordare che l’inglese non ha vinto 5 mondiali grazie alla Mercedes, ma assieme alla scuderia anglo-tedesca. Chi altri sa gestire le gomme come lui, chi ha eseguito strategie tanto ardite quanto immaginate su misura della capacità di Hamilton di mantenere un ritmo inscalfibile, magari favorito dalla pole position magistralmente conquistata il giorno prima?


Lewis non ha compiuto la traversata nel deserto patita da Schumacher, in Ferrari, prima di conquistare il proprio filotto di mondiali. La sua grandezza risiede altrove, ed è emersa nel tempo, caratterizzando un campione diverso da tutti gli altri, tanto in pista quanto fuori. Non lasciamo che sia il tempo a riconoscerla, non lasciamo che Hamilton rimanga un Re reo esclusivamente di essere parte integrante, e non passeggero, della carrozza sbagliata.

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