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Il Rebus Motori in Formula Uno

Immagine del redattore: Luca RuoccoLuca Ruocco


L’addio Honda alla Formula 1 ha riacceso un dibattito mai veramente sopito: le Power Unit odierne rappresentano l’architettura corretta per la massima serie? I motori di domani dovranno seguire le loro orme o ritornare ai fasti aspirati del passato, abbandonando l'opinabile vocazione alla ricerca che nei discorsi di tanti ha sempre contraddistinto l’impegno delle Case in Formula 1?


La discussione appassiona perché coglie un quesito al limite dell’esistenziale, per la massima serie. Le corse devono seguire il mondo automobilistico che le circonda, o dovrebbero concentrarsi sulla competizione tra i piloti, lo spettacolo in pista, la sfida vera e propria tra monoposto lanciate a 300 km/h? Si può dibattere all’infinito in merito, e se correttamente argomentate, entrambe le posizioni hanno i propri, innegabili punti di forza.


Il problema è che ai grandi Costruttori, checché ne dicano, della ricerca in Formula 1 interessa poco. Chiariamo il concetto grazie ad una serie di esempi, anche lontani nel tempo. Enzo Ferrari, nel suo Le mie gioie terribili, ripete spesso come nelle corse, ed in generale nello sviluppo delle automobili, sia molto più importante l’evoluzione che l’innovazione. Perfezionare e sviluppare al limite del possibile soluzioni note ai più: questa, secondo il Drake, è la sfida capace di rendere vincente una scuderia o all’avanguardia un costruttore di automobili. Le corse, ovviamente, rappresentano il mezzo più rapido ed efficace per raggiungere l’obiettivo, ma non per questo vi si deve identificare un teatro dedito alla sola, pura innovazione. Al contrario, lo stesso sport automobilistico risponde a logiche strettamente legate alle necessità contingenti della Casa o della piccola scuderia. Sempre nello stesso libro, Enzo Ferrari chiarisce la leggenda che lo voleva restio all’introduzione del motore posteriore perché ‘i buoi non possono spingere il carro’. Banalmente, chiarisce il Drake, spostare il motore alle spalle del pilota poteva minare il successo delle Gran Turismo di Maranello, da poco sul mercato, rendendo il prodotto improvvisamente lontano anni luce dalle monoposto. La competitività delle Rosse fu scientemente sacrificata dal Drake per il bene della Casa. Non è un caso che il magnifico Ford Cosworth DFV nascesse dall’unione di due blocchi 4 cilindri di serie, o che il terrorizzante BMW turbo 4 cilindri (circa 1400cv in qualifica nel 1986) derivasse, nella sua versione originale, dal motore della Serie 3 anni '60.


I Costruttori in Formula 1 estremizzano il proprio prodotto, ma non è detto che questo passi direttamente alla serie. Magari qualche tecnologia, qualche metodologia di progettazione o qualche componente prenderà ispirazione dalle corse. Ma il travaso diretto, soprattutto al giorno d’oggi, è pressoché impossibile. Qualcuno si ricorda la fantomatica AMG Project One, la Supercar Mercedes presentata anni fa, in vendita a 2.500.000 € ed in perenne ritardo nelle consegne? I tecnici AMG, imbattibili in Formula 1, non riescono a venire a capo della scarsissima affidabilità della Power Unit, sottoposta a condizioni di funzionamento diametralmente opposte a quelle della pista.


Molto più banalmente, serve comprendere a monte se si vuole o meno che i Costruttori competano Formula 1. Si potrebbe benissimo vivere grazie ad un motorista indipendente capace di rifornire i garagisti inglesi. Come questi possa poi competere con Ferrari è un discorso ben più complesso, ma la possibilità teorica esiste. Se invece la volontà di attirare e mantenere le grandi Case nel Circus è ancora presente, non serve a nulla ragionare su quale tecnologia abbia maggiore ricaduta diretta sul prodotto. È l’elettrico, fine delle discussioni. Piuttosto, serve comprendere quale architettura giustifichi spese folli per le Case, il che necessariamente coincide con le imposizioni del marketing, e non della tecnica.


Al contempo, però, la suddetta architettura deve essere capace di fornire le migliori prestazioni del panorama motoristico. Questo è il punto – prettamente tecnico – che rende complicatissimo qualunque discorso legato tanto alle Power Unit odierne quanto a quelle del futuro. Prendendo d’esempio il solo motore termico, nessuna unità aspirata riuscirà mai a raggiungere le prestazioni degli attuali turbo. Tecnologie avanzatissime, quali l’Accensione a Getto Turbolento in camera di pre-combustione (introdotta recentemente da Maserati su una vettura di serie), sono strettamente legate al turbo e alle pressioni d’aria che lo stesso garantisce nel cilindro. Il sistema di recupero dei gas di scarico stravince sia sul piano dei consumi (il che aiuta il marketing) sia, soprattutto, su quello puramente prestazionale. Come si può convincere una Casa motorista ad investire su una tecnologia pressoché morta, con tutto il rispetto e la nostalgia del caso, come l’aspirato?


Una volta assodata la necessità di mantenere il turbo, dal punto di vista tecnico abbandonare la tanto vituperata unità MGU-H non ha il minimo senso. Perché per quanto complicata e costosa da sviluppare, garantisce il raggiungimento di uno dei sogni proibiti di qualunque ingegnere che progetti motori ibridi: recuperare energia mentre la farfalla dell’acceleratore è completamente aperta. Il motore elettrico legato a turbina e compressore è infatti capace di convertire l’energia in eccesso, presente nella girante, in carica per la batteria o alimentazione per il motore elettrico MGU-K legato all’albero di trasmissione. Evitare che la sola frenata sia responsabile dell’immagazzinamento di energia risolverebbe una quantità enorme dei problemi legati all’efficienza delle automobili ibride in autostrada. Come si può credere che le Case, avendo già speso miliardi a riguardo, abbandonino l’MGU-H nonostante queste premesse e il suo ulteriore ruolo, ossia quello di eliminare il turbo-lag quando funziona in senso inverso ed accelera la turbina?


Tanto il marketing quanto le prestazioni richiedono il turbo. Una volta installati turbina e compressore, non ha senso rinunciare all’MGU-H. Sta diventando più semplice comprendere la complessità della caccia ai motori del futuro? È impossibile limitarsi a ‘semplificare’ l’ibrido accoppiando nuovamente MGU-K e motore aspirato o turbo, perché per raggiungere le stesse prestazioni di oggi servirebbe una batteria più capiente e quindi ancora maggior peso. C’è un motivo per cui le FE raggiungono ancora prestazioni inferiori rispetto alle F3: per pareggiare la potenza fornita da una goccia di benzina serve una porzione di batteria infinitamente più ingombrante e pesante. È un banale problema di densità energetica.


Come risolvere il rebus? A detta di chi scrive, l’unica strada è proseguire sul percorso tracciato. Riducendo il frazionamento del motore termico e aumentando le possibilità del motore elettrico, magari limitando la sola quantità di energia disponibile e non la potenza espressa dall’unità motrice MGU-K. Poi si può ragionare riguardo l’attirare nuovi Costruttori o piccoli produttori indipendenti, magari obbligando chi è presente a chiarificare, nei limiti del possibile, i segreti dell’unità MGU-H; volendo si può discutere all'infinito in merito all’adozione di carburanti sintetici.


Sui motori, però, non si può tornare indietro. È un colpo al cuore, una staffilata alla malinconia per un periodo d’oro della Formula 1, ma abbandonare l’ibrido relegherebbe la Formula 1 all’irrilevanza nel mondo automobilistico odierno. Il che significherebbe meno investimenti, subito dirottati verso altre serie dove convergerebbero inevitabilmente le migliori squadre e i migliori piloti.


Il rebus rimane materia per solutori abili. Incredibilmente abili.

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