Si parla tanto, in questi giorni, della Ferrari del futuro. Che poi, in realtà della Rossa si parla tanto sempre. Quando perde, quando vince, quando sbaglia, quando sorprende. Eppure, complice la peggior stagione da quarant’anni a questa parte, negli ultimi giorni il brusio intorno a Maranello sembra concentrarsi su due direttrici principali.
Da un lato si moltiplicano i sussurri, le indiscrezioni e le (mezze) verità riguardanti la Power Unit 2021. C’è chi si spinge in ardite descrizioni del sistema di iniezione MTI (Mahle Turbolent Injection), spacciandolo come una novità quando in realtà la sua introduzione risale al 2015, e chi si limita a fornire pochi, affidabili indizi come le piccole magagne d’affidabilità agli innovativi scarichi ovali (Leo Turrini, Blog Profondo Rosso, 29-12-2020). Evitiamo poi d’addentrarci nella giungla di ipotesi riguardanti la quantità di cavalli recuperati in vista della prossima stagione; in una cacofonia che si scosta dal mondo delle analisi tecniche per abbracciare quello dei giochi di società, si passa in men che non si dica dai sessanta ai dieci. Scordando – volutamente o meno – come l’unico dato che conti sia il recupero relativo in confronto alle unità Mercedes, Renault e Honda. La competitività del V6 italiano non dipenderà da un picco di potenza massima più alto di 10, 20 o 40 cavalli rispetto al 2020; piuttosto, in pista si noterà unicamente l’auspicabile assottigliarsi del divario dai migliori, stimato in 40-45 cavalli.
Basterebbe, forse, provare a fidarsi delle parole di Binotto. Nel corso del tradizionale incontro natalizio con la stampa, tenutosi online per ovvie ragioni, l’ingegnere reggiano ha nuovamente ribadito la convinzione che la Power Unit 2021 possa rivelarsi seconda solo a quella Mercedes. Potrà essere criticabile per le ragioni più varie – ci torneremo tra pochissimo – ma è indubbio che, dal punto di vista del racconto tecnico, il Team Principal Ferrari abbia sempre dimostrato una significativa onestà, a tratti addirittura spiazzante. Durante i test 2020 in pochissimi credevano all’ammissione di serie difficoltà – compreso chi scrive -, eppure…
Il secondo macro-argomento su cui si concentrano i commenti di questi giorni mescola la comunicazione alla programmazione, creando un cocktail tanto inedito quanto disturbante e, a tratti, potenzialmente esplosivo.
Ora, affermare che la comunicazione della Scuderia abbia passato tempi migliori rappresenterebbe il principe degli eufemismi. Non è un caso che moltissime persone avulse al motorismo ricordino Binotto con i tratti del viso di Crozza. Spesso, però, le critiche che hanno investito modi, tempi e scelte comunicative della Rossa si sono rivelate quanto meno ingiuste. Troppe volte dichiarazioni, spezzoni di interviste o frasi estrapolate dal contesto sono diventate protagoniste di feroci attacchi dettati, il più delle volte, da preferenze personali o dalla pochezza della SF1000.
Gli esempi sono molteplici: ne citeremo solo due sia per evitare crisi narcolettiche, sia perché riguardano entrambi i piloti legati al Cavallino Rampante. Tra le varie sollevazioni popolari nei confronti di Binotto – parlando sempre e solo lui, finisce per trasformarsi in una sorta di parafulmine -, una delle più intense si concentrò sulle modalità del licenziamento di Sebastian Vettel. Tifosi e ammiratori del tedesco non digerirono, a scoppio ritardato, le parole dell’ingegnere reggiano alla presentazione della SF1000, quando Vettel venne indicato come la scelta primaria della squadra per la stagione successiva. Evitando erroneamente di ricordare come lo scoppio della pandemia abbia cambiato le carte in tavola, quali altre parole avrebbe potuto scegliere Binotto in un contesto del genere? Avrebbe tolto pressione ad un pilota incredibilmente prono agli errori una spietata, seppur onesta, ammissione di casting in corso? Sarebbe stato davvero più rispettoso nei confronti di un quattro volte campione del mondo, al quale secondo i piani dovevano essere concesse le prime gare del 2020 per mostrare un ritrovato spirito?
Le stesse, perniciose considerazioni hanno accompagnato uno dei ragionamenti espressi da Binotto durante l’incontro natalizio. Rispondendo ad una domanda riguardante il futuro di Mick Schumacher, l’ingegnere italiano ha ammesso un possibile interessamento della Scuderia per il pilota Haas dal 2023. La critica ha evidenziato una scarsa eleganza nei confronti di Sainz, al primo giorno in Rosso. Eppure, lo spagnolo possiede un contratto biennale e, come sottolineato da Binotto stesso, nulla preclude un rinnovo nel caso Carlos conquisti l'ambiente a suon di risultati. È pura logica: Charles Leclerc verrà affiancato dal pilota più meritevole dell’universo Ferrari.
È comprensibile, lo ripetiamo, che il difficile momento del Cavallino scaldi gli animi e influenzi i giudizi. È umano, naturale, quasi scontato. Il problema, però, sorge quando la volontà di evidenziare una problematica sovrasta una visione oggettiva della stessa.
Dimostrazione palese di una dinamica del genere è il racconto, comune a diversi commentatori, della scelta Ferrari di puntare tutto al 2022. Binotto lo ha ammesso senza tanti giri di parole: la prossima stagione, soprattutto se dovesse iniziare come auspicato, vedrà pochi aggiornamenti mirati e programmati per tempo. La concentrazione dell’ufficio tecnico verrà subito rivolta al più grande cambio regolamentare della storia della categoria.
Si può comprendere che, da un punto di vista comunicativo, la scelta lasci sgomenti. La Ferrari, in fondo, corre per vincere, non certo per recitare da comparsa. Ma un ragionamento logico sul piano sportivo – l’unico che davvero abbia un peso, data la competitività drammatica della Rossa -, non può che confermare la bontà della decisione. Le ultime grandi rivoluzioni regolamentari (2009 e 2014) videro le scuderie al vertice (McLaren e Ferrari nel 2008, Red Bull nel 2013) sprofondare in graduatoria; a favore, rispettivamente, di Red Bull e Mercedes, impegnate da tempo nello studio dei nuovi progetti.
La prima metà del 2021, grazie al sistema a scalare delle ore disponibili in galleria del vento, vedrà la Rossa godere di un significativo vantaggio sperimentale nei confronti di Mercedes e Red Bull. Dal 30 giugno del 2021, con il ricalcolo in base alla classifica costruttori momentanea, sperabilmente il beneficio svanirà. Perché sprecarlo per migliorare una vettura, la SF21, con tutta probabilità incapace di vincere il titolo? Il progetto 673 gode da tempo, così indicano i sussurri, della priorità in ogni campo possibile: perché sprecare tale intuizione, tale visione finalmente concentrata sul lungo termine, e non più su una rincorsa francamente impossibile alla corazzata Mercedes?
Alcune delle lacune della SF1000, enormemente amplificate dalle direttive tecniche sul motore, sono state (e saranno, visto il mantenimento del telaio) figlie di questa stessa filosofia. Lo è anche la riorganizzazione del settore tecnico, con il passaggio di diversi tecnici in Haas. Può avere senso sprecare un biennio di sofferenza adesso, per salvare una stagione segnata in nome sì del prestigio del Cavallino, ma a costo di un possibile ciclo futuro?
No, non ha minimamente senso. La Ferrari non sbaglia a puntare tutto sul 2022.
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