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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Panico Confuso


Premessa doverosa seppur impopolare: smettiamola, tutti, di confondere i demeriti Ferrari con gli enormi meriti di chi, a differenza delle Rosse, le corse le vince davvero.


In forme più o meno educate, per mezzo di articoli, meme o caustici tweet, l’universo italiano dedicato alla Formula Uno continua a gravitare – erroneamente – solo e solamente intorno alla Ferrari. A parte qualche rara eccezione, se ci si limitasse a leggere i commenti post-gara si finirebbe per credere che in pista, a Budapest, corressero solamente monoposto dipinte di Rosso. La Ferrari ha perso, Leclerc si deve imporre di più, Sainz non ha passo, la strategia fa pena… mai una nota di merito.


Le gare, però, le vince un pilota solo, e quando accade ciò, il binomio uomo-macchina sale sul gradino più alto del podio prima di tutto grazie alla propria forza, al proprio passo, alla propria preparazione. Poi, e solamente poi, subentrano le colpe degli altri.


Giù il cappello, perciò, davanti all’ennesima prova di maturità assoluta da parte di Max Verstappen, paziente in partenza e dopo il testacoda, davanti ai tecnici Red Bull capaci di indovinare il set-up perfetto sulla RB18 e davanti agli strateghi del muretto gialloblù, come sempre encomiabili.


Esaurita la premessa, che per ragioni di spazio non comprende le eccellenti prove del gruppo Mercedes (se ne occuperanno le Bandiere a Scacchi domani), affrontiamo l’argomento Ferrari.


Anzitutto, chiariamo l’equivoco iridato: la rincorsa mondiale, purtroppo, era finita nel muro di gomme del Castellet. Proprio l’ultima puntata di Col Cuore in Gola si era concentrata sul calcolare, in maniera quanto più precisa possibile, le residue chance di successo del monegasco. Erano poche, pochissime allora, il lungo alla Droite de Bussett le ha definitivamente cancellate, consegnando il titolo nelle mani di Verstappen. Non che l’errore di Leclerc sia stato decisivo, anzi; tra i vari aspetti che non hanno funzionato e continuano a non funzionare, nella galassia Ferrari, Charles è una delle poche note liete e, per quanto grave, l’errore ha pesato solamente nelle tempistiche. Ben più gravi, in quanto a sogni d’alloro, sono state e saranno le preoccupazioni in tema affidabilità. O le sviste (sigh!) strategiche.


La corsa di Budapest, al di là dei proclami binottiani di doppietta (francamente evitabili), aveva allora uno e un solo realistico obiettivo: ridare fiducia ad un gruppo che, realisticamente, vivrà un autunno ed un inverno ricco di rimpianti, mentre sarà fondamentale guardare al futuro, per costruire successi sulle fondamenta dei pochi ma vibranti sorrisi regalati dalla F1-75. Non lottare per il titolo fino all’ultima gara, nel 2023, sarebbe un fallimento dal quale, senza ombra di dubbio, Maranello si risveglierebbe preda dell’ennesimo ciclo sfumato, con annessa rivoluzione al vertice.


La preziosa vittoria non è invece arrivata. Il motivo? Molto semplice. Le F1-75, sulla pista dell’Hungaroring resa alquanto fresca da un fine settimana per nulla estivo, è andata in crisi d’assetto. Alla Mercedes accade quasi ad ogni gara, alla Red Bull accadde a Melbourne e a Spielberg, mentre le Ferrari andarono in crisi ad Imola.


Il meteo avverso giustifica la debacle? No, certo che no. Bisognava reagire meglio. Esattamente come accadde a Monaco, altra corsa che, se disputata sotto al solleone, avrebbe molto probabilmente incoronato gli alfieri Ferrari. Il destino non avrà sorriso, come non aiutò il timing della Safety Car a Silverstone, ma serve reagire correttamente agli imprevisti che il motorismo riserva a cavallo di una stagione, senza addurre scuse che nulla spartiscono con la scientificità di un mondo tanto tecnologico quanto quello della Formula Uno.


Scuse che, almeno in questo caso, sono state evitate a mezzo stampa, dove invece ci si è concentrati sulle difficoltà della vettura. Difficoltà che, a costo di ripeterci, andrebbero evitate ma sono tutto sommato giustificabili, a cavallo di una stagione.


Ciò che invece giustificabile non è, visto il perseverare che ha ormai sfociato ben oltre il diabolico, è l’ennesimo errore strategico del muretto box.


Capiamoci: nessuno di noi, nessuno, sarebbe capace di condurre meglio le operazioni rispetto a chi gestisce le scelte strategiche della Rossa. Si tratta di un’arte delicata, fondata su calcoli raffinati e una mole di lavoro sconosciuta e troppo spesso dimenticata anche da chi, del commento di una corsa di Formula Uno, ne fa un lavoro vero.


Quindi, se le Rosse scattano con le Medie e non con le Soft perché le temperature basse terrorizzano i tecnici in merito al possibile insorgere del graining, occorre essere comprensivi. Con il senno di poi, si può suggerire che Sainz e Leclerc, due piloti alquanto capaci, sarebbero stati in grado di gestire e gestirsi proprio come riuscito a Russell o Verstappen, forti di una F1-75 che, forse, merita più fiducia di quanta le si regali. La monoposto, però, noi non la conosciamo. Esattamente come siamo all’oscuro del perché, secondo i calcoli dei super-computer, fosse imprescindibile rispondere alle soste anticipate di chi montava le Soft nel primo stint e non allungare forti di gomme dallo stato migliore, come stava accadendo al Paul Ricard e come accadde – in maniera vincente – a Spielberg.


Una volta sposata la strategia Medie-Medie-Soft, Sainz e soprattutto Leclerc, che era molto più veloce del compagno, avrebbero dovuto correre la propria gara, indipendente dalla concorrenza. Realisticamente, visto il passo dimostrato, Verstappen avrebbe vinto, ma con tutta probabilità Charles sarebbe giunto al traguardo 2° (non troppo lontano dalla Red Bull, di certo davanti a Hamilton) e Carlos, al massimo, 5°.


L’unica, seria chance di vincere la corsa, a fronte del passo inferiore rispetto a Verstappen, avrebbe visto il monegasco involarsi al via distaccando Max nel primo stint; non è accaduto a causa di una qualifica complessa e, tutto sommato, tornare a casa con una piazza d’onore avrebbe rappresentato un soddisfacente contenimento dei danni.


Nulla di tutto ciò: al di là di un Sainz lasciato al proprio destino, con gomme Soft montate troppo presto e un passo insufficiente nel finale, si è tentato di vincere la corsa con Leclerc puntando su una strategia spregiudicata e figlia di calcoli palesemente errati. Candidamente, infatti, gli strateghi Ferrari hanno ammesso di aver creduto alle simulazioni che vedevano le Hard competitive rispetto alle Medie dopo una decina di giri dal loro montaggio. Nella logica del muretto Ferrari, perciò, Charles avrebbe perso la posizione in occasione della sosta per poi tentare il contrattacco nel finale.


Una valutazione più che errata ma che, francamente, l’opinione del pilota e le prestazioni Alpine suggerivano ampiamente come troppo fantasiosa. La grossa lacuna, perciò, è stata quella di difendere il sogno di una vittoria di fronte ad uno scacco matto del muretto Red Bull che, per le dinamiche di gara, era palese già da pochi giri dopo il primo stop. A quel punto, risulta francamente complesso capire perché non si sia puntato al massimo risultato ottenibile da Leclerc a fronte della strategia più sicura in quelle condizioni, ossia continuare su una gomma che funzionava bene (la Media) per poi montarne una che, a vettura scarica, poteva resistere meglio di quanto ipotizzato per la parte iniziale di corsa (la Soft).


La morale, che è bene sottolineare sia frutto di pure ipotesi, è che il muretto Ferrari sia troppo facilmente preda di una sorta di panico confuso. Quando le cose procedono come da piani, si veda Baku con la corretta chiamata sotto VSC o Spielberg con la coraggiosa attesa nel fermare i piloti, gli errori sono un lontano ricordo. Appena intervengono fattori esterni – il meteo, delle prestazioni meno buone del preventivato, una SC nel momento sbagliato -, regna la confusione che si trasforma in poco tempo nel panico più assoluto.


Non si capisce quale pilota ha la priorità (e oggi, nei primi giri, Leclerc qualche secondo lo ha perso dietro a Sainz) tanto nelle singole gare quanto nelle aspirazioni mondiali; la comunicazione sembra frammentata perché recepisce solo a tratti le indicazioni di chi guida la vettura e, molto spesso, sembra che l’intera squadra, di cui il muretto è solo la porzione più visibile, sia preda di una sorta di ansia da prestazione impossibile da eradicare.


Sembra che tutti in Ferrari, Leclerc compreso, siano costantemente perseguitati dalla necessità di dimostrare qualcosa. Come se arrivare secondi, quando la monoposto non è in forma, fosse un dramma. Come se il mondiale possa arrivare solo quest’anno, in una stagione che molto probabilmente pochi, a Maranello, credevano davvero potesse regalare l’iride.


E quando non si crede fermamente in un obiettivo, risulta difficile che si arrivi preparati alla sfida. Ecco perché chi gestisce la Ferrari, da qui ad Abu Dhabi, avrà un solo compito: spiegare a chi ci lavora che, ormai, si è tornati nel club dei grandi.


Senza paure, si impari a correre credendo nei propri mezzi. In fondo, la F1-75 l’hanno disegnata a Maranello, e non a Milton Keynes.


Fonte immagine: Scuderia Ferrari / Twitter

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