Nonostante abbia smesso da qualche decennio di rappresentare il singolo componente più importante di una monoposto di Formula Uno, il motore a combustione interna rimane l’organo meccanico più affascinante di ogni vettura.
Il suono dei V6, seppur fortemente diminuito rispetto all’era aspirata, contribuisce enormemente a definire la colonna sonora che, dal vivo o in televisione, caratterizza in maniera unica l’esperienza di assistere ad un Gran Premio.
I propulsori a quattro tempi, poi, sono una costante nella vita di tutti i giorni per la stragrande maggioranza delle persone; indagarne retroscena, curiosità e scelte progettuali nella loro massima espressione risulta in qualche modo più immediato e comprensibile rispetto a campi quali l’aerodinamica o i trasferimenti di carico. Chiunque, una volta nella vita, ha schiacciato a fondo l’acceleratore, percepito una differenza nell’erogazione di coppia e ascoltato il motore salire di giri. Termini quali pistone, candela, cilindrata e valvole fanno parte del gergo comune; lo stesso non si può dire per bardgeboards, t-tray o canali Venturi.
Nelle moderne Power Unit di Formula Uno il motore a combustione interna, identificato comunemente con l’acronimo inglese ICE, si basa su un’architettura tutto sommato convenzionale poiché prescritta nei minimi dettagli dal regolamento tecnico: 6 cilindri a V con angolo di 90° tra le bancate, singolo turbocompressore, quattro valvole per cilindro, una candela e un solo iniettore di benzina posizionato direttamente in camera di combustione (iniezione diretta). Il limite di rotazione massima è posto a 15000 rpm (in realtà, complice la sovralimentazione, i motori non vanno mai oltre i 12500) e il flusso di carburante iniettato non può superare i 100 kg/h.
A causa di queste e moltissime altre prescrizioni – il regolamento tecnico conta 23 pagine strettamente connesse ai principali componenti della Power Unit, esclusi gli organi ausiliari -, gli ingegneri motoristi si sono trovati quasi costretti ad abbracciare nuove forme di combustione, trasformando in applicazioni reali tecnologie altrimenti oggetto di ricerche puramente teoriche. Un traguardo, questo, figlio certamente dei mezzi economici a disposizione di Ferrari, Mercedes, Honda e Renault eppure, al contempo, una meravigliosa dimostrazione del ruolo delle corse nella ricerca automobilistica.
Uno dei principali protagonisti dei moderni motori di F1 è la precamera di combustione, più volte citata in Italia poiché tappa fondamentale nello sviluppo della Power Unit Ferrari (fu introdotta in Canada nel 2015 recuperando così uno dei principali svantaggi rispetto al V6 Mercedes, che l’adottava sin da inizio 2014).
Tale componente, imprescindibile nel raggiungimento di un corretto processo di combustione, vedrà aumentare ulteriormente la propria importanza nel 2022, complice l’introduzione di carburanti con il 10% di etanolo biologico miscelato alla ‘classica’ benzina.
Come funziona davvero la precamera in F1 e perché, considerati i rari utilizzi in ambito automobilistico, è stata spesso descritta in maniera parzialmente errata? Proviamo a comprenderlo, riassumendo in primis i motivi per cui è necessario il suo utilizzo.
IL PROCESSO DI COMBUSTIONE DI UN MOTORE DI FORMULA UNO
Per riuscire nell’impresa di rendere totalmente propri i concetti alla base della combustione di un motore di Formula Uno sarebbe necessario un lungo periodo all’interno degli uffici tecnici di uno dei quattro motoristi. Dovremo quindi limitarci, qui e ora, ad un breve excursus che, per forza di cose, non potrà spingersi in particolari oggetto di segreti industriali costuditi ultra-gelosamente.
In un motore a quattro tempi la combustione avviene tra la seconda e la terza corsa del pistone. Introdotta la carica d’aria nella prima discesa verso il punto morto inferiore, il pistone la comprime risalendo verso il punto morto superiore; introdotto il carburante, si crea una miscela infiammabile che viene accesa dando vita ad una vera e propria fiamma, capace di sprigionare l’energia necessaria a spingere il pistone nuovamente verso il basso. L’ultima e quarta corsa, a valvola di scarico aperta, serve a spingere i gas esausti fuori dalla camera, così da prepararne il volume ad un nuovo ciclo.
La modalità con la quale si innesca il processo di combustione è la principale differenza tra i motori che comunemente chiamiamo benzina o Diesel.
I primi, teoricamente identificati come 'ad accensione comandata', bruciano una miscela omogenea di aria e carburante vaporizzato grazie all’innesco di una scarica elettrica da parte della candela; i secondi, 'ad accensione spontanea', bruciano una carica eterogenea di aria e carburante liquido, iniettato ad altissime pressioni in un ambiente consono alla propria auto-accensione.
Quando l’accensione spontanea avviene in un motore a benzina si innesca il fenomeno comunemente conosciuto come battito in testa: alcuni punti della carica omogenea, raggiunti livelli consoni di pressione e temperatura, si accendono prima di venire raggiunti dal fronte di fiamma innescato dalla candela o, alternativamente (super-knock, tipico dei motori turbocompressi), ancor prima che la candela abbia prodotto l’arco elettrico; entrambi i fenomeni sono estremamente deleteri per gli organi meccanici, con il secondo incorreggibile e molto spesso terminale.
Paradossalmente, e semplificando moltissimo i concetti, i motori di F1 operano proprio innescando una sorta di battito in testa controllato. Il processo di combustione dei moderni V6 è infatti una variante dell’HCCI (Homogenous Compressed Charge Ignition): una miscela molto magra – ossia con più aria rispetto alla condizione che ossiderebbe completamente il carburante, a cui operano i motori benzina comuni – viene iniettata in maniera estremamente fine nell’intera camera di combustione, dove raggiunge in vari punti e contemporaneamente le condizioni necessarie all’auto-accensione. Ciò dà vita ad una fiamma velocissima, particolarmente efficiente (il che va d'accordo con gli stringenti limiti al flussometro) e a bassa temperatura, caratteristica estremamente utile al contenimento delle emissioni nocive.
Il processo d’innesco della fiamma assomiglia quindi ad un motore Diesel, mentre il carburante è già interamente miscelato all’aria come avviene nei motori a benzina. Tale fenomeno è estremamente complesso da controllare, tanto da obbligare ad un suo utilizzo solamente a carichi limitati, dove non rischia di incorrere in battiti in testa incontrollati; oltre, i comuni motori HCCI tendono a funzionare come un normale Diesel.
In un motore di Formula Uno si ovvia a tale problematica grazie all’utilizzo della precamera, rendendo operativo il motore in ogni condizione di carico (semplificando, il carico è la richiesta di potenza da parte del pilota, ossia quanto preme l'acceleratore, ndr).
LA PRECAMERA DI COMBUSTIONE
Ideata nel 1918 da Sir Harry Ralph Ricardo, la precamera di combustione ebbe grande successo nei motori Diesel fino ai primi anni Novanta. Iniettare il carburante in uno spazio ben definito permetteva infatti un funzionamento maggiormente lineare del motore e riduceva enormemente la rumorosità, altrimenti altissima in una macchina ad accensione spontanea.
Abbandonata grazie all’arrivo di iniettori più prestanti e a nuove strategie di controllo, la precamera è tornata in auge proprio per sostenere i cosiddetti processi di combustione a bassa temperatura, tra cui l’HCCI.
La fiamma, originata in uno spazio ridotto e introdotta nella camera principale mediante piccoli fori, è capace di innescare ultra-velocemente la carica ivi presente; così facendo, è possibile bruciare completamente anche miscele estremamente magre, dove altrimenti un fronte caldo tenderebbe a perdere energia prima di completare il proprio lavoro; inoltre, i rapporti di compressione possono essere spinti a valori (18) altrimenti impensabili per un motore a benzina.
Esistono due tipologie di precamera:
attiva: nella precamera sono presenti sia un iniettore, sia la candela. Il primo immette nel ridotto spazio dall'1 al 5% del carburante; la fiamma risultante, innescata dalla candela, passa alla camera principale dove raggiunge una miscela omogenea ottenuta mediante un secondo iniettore, quasi sempre – per ragioni di spazio – posto alla fine dei condotti di aspirazione (iniezione indiretta). Tale soluzione è incredibilmente efficiente e, declinata con un secondo iniettore diretto, caratterizza alcuni punti di funzionamento del motore Nettuno della Maserati.
passiva: in questa configurazione è presente nella precamera la sola candela. Il carburante viene infatti iniettato nella camera principale e, passando dai fori, una porzione dello stesso entra nel ridotto spazio che racchiude la candela, per poi essere innescato. A causa dei regolamenti che impongono un solo iniettore per cilindro, è questa la configurazione adottata in Formula Uno (sarebbe deleterio e impossibile iniettare l’intera frazione di carburante nella precamera).
Per quanto più efficiente di uno schema standard, la precamera passiva ha imposto enormi sfide ai motoristi. La più immediata da comprendere è la richiesta prestazionale imposta all’iniettore, chiamato sia a fornire carburante all’intera camera di combustione in maniera ultra-diffusa (necessaria all’HCCI), sia a indirizzarne parte verso l’apertura della precamera dove si trova la candela. Non a caso, nel 2016 MAHLE (partner tecnico Ferrari nella realizzazione della precamera) raccontò di una candela posta quasi orizzontalmente nei cilindri del V6 emiliano, proprio per raccogliere correttamente l’iniezione e successivamente indirizzare come desiderato il getto di fiamma.
Non è dato sapere lo schema ideato da Wolf Zimmermann (progettista ICE a Maranello) per il motore Superfast del 2022 ma la precamera MAHLE (conosciuta grazie alla sineddoche Turbolent Jet Ignition) ne sarà di certo uno dei componenti più importanti, esattamente come accade per gli altri tre motori in griglia.
LA SFIDA E10
Quasi tutti i motoristi hanno raccontato, per vie ufficiali o mediante sussurri colti dai bene informati, di una significativa perdita di potenza nei motori 2022 dovuta all’incremento fino al 10% dell’utilizzo di bioetanolo nella composizione del carburante.
Ciò è solo parzialmente connesso al minore potere calorifico di tale sostanza: a causa del rapporto immutato tra potere calorifico e rapporto stechiometrico, infatti, sono solitamente necessari pochi accorgimenti per adattare un motore a benzina all’utilizzo più o meno spinto di etanolo (ciò senza considerare gli organi di distribuzione carburante).
Al contrario, Honda, Mercedes, Renault e Ferrari hanno tutte ammesso la necessità di ridisegnare completamente la propria camera di combustione, visto che l’utilizzo di carburante E10 nei motori 2021 portava a perdite vicine agli 80 cavalli.
Ciò, più che al potere calorifico dell’etanolo, è legato all'elevato valore dell'energia necessaria alla vaporizzazione (900 kJ/kg contro i 450 della benzina). La porzione di etanolo sottrae infatti energia alla miscela di aria e carburante per passare allo stato gassoso; tale processo contrasta la fine distribuzione spaziale della miscela necessaria a rendere quasi-istantanea la sua sorta di auto-accensione, oltre ad abbassarne la temperatura allontanandola dal corretto valore di innesco.
Questi fenomeni, senza una ricalibrazione degli aspetti geometrici e di controllo dell’intera camera di combustione, abbassano enormemente l’efficacia della fiamma proveniente dalla precamera (anch’essa ostacolata nella sua qualità dall’etanolo).
Chi avrà interpretato al meglio la sfida posta dal biocarburante, magari grazie a concetti innovativi, potrebbe ritrovarsi un vero e proprio asso nella manica, grazie ad un motore a combustione interna più prestazionale di quello degli avversari.
Vantaggio non da poco in Formula Uno rivoluzionata dal punto di vista del telaio, come accadrà nel 2022.
Fonte immagini precamera: Mahle, qui la pagina web della TJI.
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