
Il dibattito è annoso, pressoché irrisolto e si ripete ciclicamente dagli albori del motorismo: può un pilota vincere il Mondiale di Formula Uno senza la monoposto migliore?
Evitando di scomodare la celeberrima ripartizione dei meriti tra automobile e conduttore ideata da Enzo Ferrari, è palese come la stragrande maggioranza dei titoli iridati siano giunti al volante della vettura globalmente migliore. Gli ultimi tre grandi cicli della massima serie sono freschi nella memoria di molti appassionati, con le accoppiate Ferrari-Schumacher, Red Bull-Vettel e Mercedes-Hamilton tanto titolate quanto palesemente superiori alla concorrenza.
Una scuola di pensiero abbastanza nutrita tende addirittura a identificare l'auto del pilota iridato come la migliore in assoluto, indipendentemente da quanto possa suggerire lo studio dei dati. Per quanto sbrigativa, tale logica possiede qualche merito: pensando al 2009, ad esempio, in pochi indicherebbero la Brawn BGP 001 di Jenson Button come la vettura regina in quanto a prestazioni, dato che l’inglese smise di vincere corse in primavera. Eppure, la superiorità mostrata nei primi Gran Premi, unita a un discreto passo nella seconda metà di campionato, fornirebbe più di una giustificazione a un pensiero del genere.
Allo stesso modo, non serve incaponirsi in ricerche storiche ultra-approfondite per individuare piloti iridati senza monoposto dominanti. Si tratta, il più delle volte, dei campionati combattuti sino all’ultima gara. Nel 2008 Hamilton conquistò l’iride al volante di un McLaren MP4-23 leggermente inferiore alla Ferrari F2008 di Felipe Massa, campione per qualche secondo nel finale convulso di Interlagos; nel 1994, superati i problemi di progetto che afflissero la Williams FW16 in primavera, Damon Hill godette di una vettura più prestazionale di Schumacher, il quale vinse comunque al termine di un'annata tragica e controversa.
Si tende comunque a citare duelli proseguiti per tutta la stagione, contrassegnati da un equilibrio tecnico magari non perfettamente paritetico, ma di certo rilevante.
Al contrario, sono rarissimi i casi in cui il pilota campione ebbe tra le mani una vettura palesemente inferiore alla diretta concorrenza. Serve tornare indietro nel tempo a periodi durante i quali l’affidabilità giocava un ruolo preponderante, addirittura superiore alla velocità sul giro (Hawthorn nel 1958, Surtees nel 1964), o scovare episodi isolati come il finale di stagione 1986, quando tutto giocò contro la Williams. Nell’era moderna solo Alonso, nel 2012, avrebbe potuto conquistare il titolo su una Ferrari innegabilmente inferiore rispetto alla Red Bull di Vettel.
Il mondiale 2021 non rientra di certo nell’ultima categoria. L’equilibrio tra Red Bull e Mercedes è stato netto, innegabile e quasi costante durante tutta la stagione. Eppure, indagare i dati del cronometro – che si sa, non mente mai -, può fornire qualche risposta rispetto a un quesito affascinante: Verstappen ha vinto il primo titolo in carriera al volante della monoposto migliore o gli è riuscito il contrario?
RB16B VS W12
Prima di tuffarci nello studio di alcuni dei parametri emersi durante la stagione, è necessaria una breve digressione riguardante le vetture di Hamilton e Verstappen.
La Mercedes W12 ha sofferto enormemente le limitazioni al fondo piatto introdotte nello scorso inverno. Fino a Silverstone, quando un sostanzioso aggiornamento ha ristabilito buona parte dell’equilibrio perduto, le Frecce d’Argento hanno dovuto convivere con enormi difficoltà nella ricerca di un bilanciamento che sopprimesse la tendenza sovrasterzante della vettura. Quando ciò accadeva, come a Barcellona, il pacchetto si dimostrava competitivo; quando il trucco non riusciva, i risultati peggioravano improvvisamente, si veda Baku (Hamilton a parte), Zeltweg o sconfitte inaspettate come Le Castellet.
Ritrovato l’assetto perfetto, soprattutto nei mesi autunnali, la W12 è tornata a volare, esaltandosi soprattutto nel veloce e contenendo brillantemente i movimenti del retrotreno, grazie all’adozione di assetti spesso più carichi del dovuto e una coraggiosa strategia di utilizzo delle Power Unit.
La Red Bull RB16B, al contrario, ha mantenuto un livello di forma pressoché costante durante l’intero campionato. Le prestazioni maggiormente dominanti sono arrivate nei circuiti limitati posteriormente, dove la Mercedes non ha mai recuperato del tutto lo stato di forma 2020, mentre i momenti di difficoltà possono essere divisi in due gruppi. Da un lato piste come l’Hungaroring o Istanbul, dove l’asfalto o le condizioni ambientali hanno reso impossibile generare all’anteriore abbastanza grip da bilanciare il mostruoso carico al posteriore; dall’altro il finale di stagione, quando la ritrovata competitività degli avversari (Abu Dhabi) o alcuni problemi tecnici (Qatar) hanno forzato gli ingegneri ad adottare assetti estremi, spesso risultati controproducenti.
COSA DICONO I DATI
Le tabelle poco sotto indicano i distacchi tra Red Bull e Mercedes a cavallo dell’intera stagione secondo quattro diversi parametri:
i migliori tempi in Q3, indipendentemente dal pilota;
la media dei tempi in Q3, in modo tale da evitare che gli exploit dei singoli lusinghino le reali prestazioni della monoposto;
il distacco in gara tra le due vetture meglio posizionate, calcolato prima di soste ai box per il giro veloce nel finale, bandiere rosse o ritiri (eventi contrassegnati da un asterisco);
il rapporto tra tale distacco e il numero di giri percorsi, così da avere un’idea – alquanto generale – della differenza nel passo gara.
I dati in verde indicano valori a vantaggio della Mercedes, con un distacco positivo pagato da Red Bull, quelli in blu viceversa. Quando incidenti al via (Silverstone, Ungheria) o gare-farsa (Belgio) hanno reso impossibile il confronto, dei trattini indicano l’assenza del dato.

Un veloce sguardo alla distribuzione dei colori suggerirebbe un iniziale superiorità della Mercedes, alla quale è seguita un’estate dominata da Red Bull e un finale di campionato nuovamente a favore della Casa di Stoccarda.

In realtà la prima parte di stagione è stata forse la più equilibrata, con una Red Bull ancora non perfetta sul giro secco ma dotata di un passo gara molto simile a quello Mercedes. Da Monaco alla seconda gara in Austria le RB16B sono letteralmente esplose, dimostrandosi nettamente dominati – a parte in Francia – e pagando solo nella media in qualifica le difficoltà d’adattamento di Perez. Silverstone e Budapest offrono la misura della crescita delle W12 in qualifica, mentre le folli corse non forniscono alcun dato sul passo gara; al contrario, dalla ripresa delle ostilità a Spa è interessante notare come solo a Città del Messico la Red Bull sia stata nettamente dominante in gara. È arrivata qualche Pole Position, merito spesso di assetti volutamente spinti (Abu Dhabi), e qualche vittoria al termine di corse decisamente equilibrate (Zandvoort, Austin); mai, però, le vetture di Adrian Newey hanno mostrato la superiorità estiva.

Al contrario, le W12 hanno gradualmente preso il sopravvento, sprecando occasioni a Monza e Spa (fosse stato asciutto, avrebbero dominato considerando i dati del venerdì) e dominando in particolare l’ultimo scampolo di stagione, durante il quale Hamilton si è mostrato chiaramente imprendibile.
Il riassunto finale certifica la superiorità Mercedes in qualifica, soprattutto a livello di squadra, mentre in gara si è avuto un equilibrio quasi perfetto frutto di moltissime gare corse sul filo di lana e qualche exploit per entrambe le compagini.

Verstappen ha vinto il mondiale correndo con una monoposto minimamente inferiore nelle prestazioni a quella di Hamilton.
I punti persi per strada in incidenti hanno penalizzato l’olandese (altrimenti sempre 1° o 2°), e l’apporto scarsissimo di Bottas alla causa di Hamilton ha permesso a Max di contenere i danni nelle domeniche più complesse.
La principale forza del pacchetto Verstappen-Red Bull, però, risiede nell’aver saputo difendersi ottimamente dalla crescita finale del pacchetto avversario. Come accaduto nelle stagioni 2017-2018, quando sfidava la Ferrari di Vettel, la Mercedes ha compiuto un netto step prestazionale in autunno, assicurando ad Hamilton i mezzi necessari a vincere il titolo indipendentemente dalle sfortune altrui. Fino a una cinquantina di chilometri dal termine del mondiale, l’impresa stava nuovamente riuscendo.
Sfruttando il botto di Latifi, al contrario, Verstappen ha compiuto una vera e propria impresa se si considerano le difficoltà di Perez e una tendenza storica del tutto sfavorevole all’olandese.
Max ha infatti trionfato nonostante la superiorità della propria vettura sia quasi del tutto sparita dall’estate in poi; uno scenario che, come detto, affossò le ambizioni di Vettel in Rosso o, prima di lui, di Schumacher nel 1997 e nel 1998, stagioni nelle quali il tedesco guidò in maniera sublime.
Ammesso servisse, la definitiva prova di un talento unico nella propria generazione: chi riuscirà a fermarlo?
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