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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Budget Cap: ne vogliamo parlare seriamente?


Marco Canoniero / Shutterstock.com

Ora, che il denaro sia l’argomento principe delle discussioni in corso tra team, FIA e Liberty Media è anche comprensibile. Auspicabile addirittura, dato che il Circus in fondo è un’industria – neanche tanto piccola – e come tutte le industrie si trova a dover fronteggiare una situazione imprevedibile, momentaneamente irrisolvibile e pericolosa. Fin qui, allora, tutto bene. Ma si sa, in quarantena si ha tempo di informarsi, leggere, ascoltare tutte le campane. Compresa quella – molto, molto competente e ricca di contenuti – del giornalismo inglese. Così, tra un intervista a Jean Todt ed un racconto di vetture mai nate, mi sono imbattuto nel dialogo a quattro tra Simon Lazenby (conduttore di Sky Sport F1 UK), Martin Brundle, Ross Brawn e Zak Brown. Gli ultimi due, decisamente famosi, guidano rispettivamente la struttura tecnico-sportiva di Liberty Media e l’intera McLaren, e nella settimana pasquale sono stati citati dalla stragrande maggioranza dei siti specializzati riguardo alcuni passaggi significativi dell’intervista. Se del calendario abbiamo già parlato qui, ora è tempo di concentrarsi sulle discussioni riguardo il Budget Cap. Il Sacro Graal capace di riportare la giustizia nel distorto mondo dei motori, la cui drastica riduzione sarebbe magica pozione curativa per le scuderie in difficoltà, operazione osteggiata dalle perfide Ferrari e Red Bull che ‘stanno giocando con il fuoco’, parola di Zak Brown.


Il manager statunitense non è un allocco, tutt’altro. Pur subendo pesanti critiche durante i primi anni di gestione, ha risollevato un team – e parzialmente un’azienda – in grande difficoltà. Davanti a risultati strabilianti come il quarto posto del 2019 nel Mondiale Costruttori (purtroppo per la McLaren non ripetuti nel mondo delle auto GT) si può solo ammirare l’operato di Brown. Davanti a parole, e proposte, come quelle riguardanti il Budget Cap invece si deve, inevitabilmente, sollevare qualche critica. Molto più profonda, tra l’altro, delle pur corrette segnalazioni riguardo una certa ambiguità di Zak verso la posizione Mercedes, guarda caso fornitore dei propulsori per la scuderia di Woking dalla prossima stagione. Va bene che in Daimler hanno ben altri problemi in questo momento, ma la politica argentata in Formula 1, il continuo lanciare il sasso per poi nascondere la mano, come accaduto con la vicenda del motore Ferrari, ha anche un po’ stufato. Quando Ferrari e Red Bull difendono posti di lavoro creati per contrastare la supremazia di Mercedes stessa, prima fautrice di una formula ibrida costosissima, detentrice del record di dipendenti ed investimenti da diverse stagioni, una presa di posizione netta sarebbe il minimo sindacale. Invece a Brackley continua la spettacolare operazione comunicativamente cerchiobottista degli ultimi tempi, culminata negli orridi movimenti del weekend australiano. Quando Wolff voleva correre prima di essere scavalcato dal gran capo Kallenius, la cui decisione provocò una doppia capriola simil-carpiata a mezzo stampa. Due minuti prima del comunicato congiunto di tutte, tutte le autorità coinvolte nel GP, Mercedes AMG pubblicava una lettera aperta nella quale si sprecavano lodi per la scelta di evitare di correre in terra australiana, scelta maturata con la sola salute del personale in mente. Comunicato che addirittura fu esaltato da famosissimi giornalisti d’oltremanica, perché ‘esplicativo del grande stile di una scuderia che, rompendo il silenzio delle ultime ore, ha dimostrato di essere superiore in tutti i campi da tempo’. Qui fluttuiamo tra paradosso e presa in giro, a voi la scelta.


Tornando al famigerato Budget Cap, il grosso delle discussioni di questi giorni sostanzialmente verte sul conflitto d’idee tra McLaren da una parte, appoggiata dagli altri sei ‘piccoli’ team – tra i quali si trova Renault ad esempio, costruttore che paga circa 20 milioni di € l’anno Ricciardo -, e Ferrari e Red Bull dall’altra, con Mercedes nel mezzo silenziosa spettatrice. I primi richiedono un abbassamento drastico del tetto di spesa ad almeno 130 milioni di $ l’anno, preferibilmente a 100. Le grandi scuderie si oppongono mediante due argomentazioni principali. Prima di tutto il taglio li obbligherebbe a licenziamenti, eventualità, soprattutto secondo Ferrari, da scartare in tutti i modi in un momento economico del genere. Secondariamente, i ‘piccoli’ comprano diverse parti dalle scuderie maggiori, il che permette un risparmio nella ricerca e sviluppo delle stesse. Risparmio che, con una soglia massima di spessa troppo bassa, potrebbe rivelarsi decisivo nel permettere alle scuderie minori stesse di destinare tali fondi ad aree prestazionali dove scovare vantaggi rispetto alle squadre maggiori, impossibilitate a far ciò perché impegnate nella concezione dei pezzi di cui sopra. Capito qualcosa?


Quanto si capisce davvero è l’assurdità del discorso a monte. Il tanto famoso ed esaltato Budget Cap è sì necessario, ma concepito in maniera sbagliata e, soprattutto, incapace di correggere i veri mali economici del Circus. Il tetto iniziale di 175 milioni di $ per tutte le attività connesse a telaio ed aerodinamica era ed è una burla: vi sono escluse tutte le spese per il motore, gli ingaggi dei piloti e dei tre dirigenti più pagati della squadra, le spese di marketing e di consulenza. Il che permette facilissimamente di raggiungere 300 milioni di $ di budget annuale per le grandi squadre. L’accordo è stato totale rispetto all’abbassamento del Budget Cap a 150 milioni di $: che senso ha sforbiciare nuovamente una cifra del tutto parziale?! Perché non includere i salari dei piloti, alzando ovviamente il tetto? Da un punto di vista di risparmi economici seri, sarebbe corretto che Mercedes o Ferrari si ritrovassero davanti ad una scelta drastica: offrire all’Hamilton o al Vettel di turno un contratto inferiore, comunque stellare, con la promessa di una monoposto meglio sviluppata. Gli stessi campioni sarebbero liberi di accasarsi in una scuderia che ne gratifichi il valore con uno stipendio più alto senza però garantire probabilità di successo. Secondo voi come andrebbe a finire? Ho avuto la fortuna, grazie ad un amico, di vivere le qualifiche di Monza 2018 dall’hospitality Paddock Club Ferrari. Trattamento da sogno, sembrava di essere un pascià. In un momento del genere, però, mi chiedo se sia per forza necessario che le scuderie provvedano al continuo rimpinguamento di ospiti più o meno -il mio caso - d’onore, il che in fondo ha poco a che fare con le corse, ma non viene mai toccato perché garantisce introiti anche a Liberty Media.


Ritoccare il Budget Cap verso il basso non salverà la F1. I costi veri sono altri, le limitazioni coraggiose diverse, e la mossa di alcuni dei team minori, in questo momento, sembra maggiormente volta al recupero mediante mezzi finanziari della competitività perduta per colpe proprie. La McLaren dei primi anni 2000 aveva grosso modo – considerando le spese del partner Mercedes - lo stesso budget della Ferrari: siamo sicuri siano stati solo i soldi a far sprofondare la prima in classifica?


Al di là dei tagli possibili – la soluzione Ferrari di riduzioni generalizzate, intelligenti e su misura mi sembra decisamente più logica -, la vera rinascita economica del Circus si ottiene in un altro modo. Mettere un tetto ad un mondo dove sono sempre girati un sacco di soldi - la Williams dei tanto esaltati primi anni ‘80 divenne vincente grazie ad imprenditori sauditi tra i quali Bin Laden padre - ha solo relativamente senso. Si taglino pure costi eccessivi, e su questo la disponibilità di Ferrari, Mercedes e Red Bull ultimamente non è mancata. La vera soluzione ai mali economici del Circus, però, è renderlo nuovamente attrattivo per i grandi sponsor. Vincere nella più grande sfida tecnologica al mondo non sarà mai e poi mai sostenibile, ogni centesimo deve finire in prestazione se lo si vuole fare davvero. Le scuderie devono sì rimanere in salute, ma il business funziona davvero quando la vettura diviene uno spazio attrattivo come pochi altri per far conoscere la propria azienda. Starà al regolamento tecnico, ed alla competitività diffusa che garantisce, attrarre nuovi motoristi o nuove case automobilistiche. Nel mentre non bisogna scordare che altre tipologie d'aziende investono solo se i circuiti sono pieni, se le corse vengono trasmesse ad un pubblico enorme, e non solo quello limitato delle pay-tv, attraverso internet o la televisione generalista non importa.


Il mondo della F1 deve imparare a rinunciare per tornare a guadagnare. I GP per tutti aumentano l’esposizione dello sport, lo rendono davvero attrattivo, quanto serve a generare sostenibilità reale e duratura. Che senso ha chiedere agli autodromi tasse d’iscrizione sempre più alte se poi questi scaricano gli aumenti sui biglietti e le tribune a Monza non sono completamente piene neanche quando Vettel si gioca il mondiale alla guida di una Ferrari?


Quando si tornerà a parlare di questi aspetti le discussioni verteranno davvero sull’economia dei Gran Premi. Fino ad allora rimarremo nel campo delle chiacchere.

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