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Coppie Dimenticate: von Trips e la Ferrari 156 F1


© Luca Ruocco

STORIE MOZZAF1ATO inaugura una nuova serie di articoli: Coppie Dimenticate. Un pilota, la sua vettura e la loro storia. Il tutto per tornare ad assaporare, o scoprire per la prima volta, racconti densi di emozioni, umanità e coraggio, mischiati al rumore assordante dei motori di una volta, ma persi nel tempo ed oscurati dal successo, la fortuna o il semplice rimanere in vita altrui. Il primo è dedicato a Wolfgang von Trips e la Ferrari 156 F1.


Un tedesco alla guida di una Rossa di Maranello. Il pensiero corre velocissimo a Michael Schumacher ed ai primi anni duemila, o al massimo, preso da un impeto di modernità, potrebbe virare verso la storia – non ancora conclusa – di Sebastian Vettel. Eppure, più di sessant’anni fa, agli albori dell’automobilismo sportivo moderno, un altro pilota teutonico correva per il Commendator Ferrari. Si chiamava Wolfgang von Trips.


LUI, IL PILOTA

Von Trips non era esattamente il suo cognome, anche se viene universalmente ricordato così. Wolfgang Graf Berghe von Trips (e questa è la versione senza secondi nomi) nacque nel 1928 a Colonia. Discendente al titolo di Conte (Graf) Berghe von Trips, Taffy per gli amici, si avvicinò alle corse nei primissimi anni ’50 usando lo pseudonimo di ‘Axel Linther’. Il tentativo di non destare preoccupazioni nei genitori durò poco: la vittoria di classe alla Mille Miglia del 1954, su Porsche 356 recante il suo vero nome, lo portò definitivamente alla ribalta, tanto da ottenere l’ingaggio ufficiale Mercedes per il 1955. In patria la popolarità di von Trips crebbe rapidamente: il giovane pilota si divideva tra le Frecce d’Argento dirette dal celeberrimo Alfred Neuber e le piccole ed agilissime Porsche di F2, riportando in auge nelle corse automobilistiche di tutta Europa il nome di una nazione che solo in quel momento cominciava a rialzarsi dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante l’enorme stima nutrita verso di lui dallo stesso Ferdinand Porsche, Wolfgang passò definitivamente alla Ferrari, per la quale da anni correva in F1, nel 1960. La causa scatenante del trasferimento fu un diverbio con l’onnipotente direttore sportivo della Porsche, il barone von Hanstein, riguardo i prelievi operati dal barone stesso (che di certo non aveva problemi economici) sui premi di partenza e classifica solitamente dedicati a meccanici e piloti. Von Trips era certo che dopo una discussione del genere non avrebbe mai più ricevuto una vettura competitiva, e così si accasò definitivamente a Maranello. Il ‘tradimento’ non venne perdonato in Germania: quando Wolfgang vinse il Gran Premio di Stoccarda di F2, al volante dell’unica Ferrari sfidante uno stuolo di cinque Porsche – Enzo concordò un premio di partenza raddoppiato per inviare lì una vettura e concedere la rivincita del precedente GP di Siracusa -, non si levò alcun applauso da sotto il podio. Il silenzio era totale.


Von Trips era così, prendere o lasciare: leale, corretto ed intraprendente. Alla Mille Miglia del 1957, su richiesta di Enzo Ferrari, incontrato al controllo orario di Bologna, non aveva attaccato nel tratto finale il compagno di squadra Taruffi, vittima di noie di natura meccanica. Piero, cinquantunenne, aveva così potuto coronare il sogno di una vita: vincere la grande classica italiana. Nel libro Piloti, che gente è il Drake stesso a sintetizzare magistralmente il carattere di von Trips: “Quel ragazzo mi fu particolarmente caro perché era un giovane di grande nobiltà d’animo. […] Pilota velocissimo, era capace di qualsiasi ardimento senza che quel sorriso costantemente atteggiato a una leggere mestizia abbandonasse il suo volto finemente nobile…”.


Nobile d’animo quanto di sangue, ma non per questo lontano dai colleghi: Wolfgang godeva pienamente dello spirito di fraternità presente tra i piloti dell’epoca. Morire era così facile che veniva naturale avvicinarsi fuori dalle piste, passare momenti spensierati con i quali riempire le attese tra corse folli a cavallo di vere e proprie bombe a cento ottani. Alla Mille Miglia del 1957 aspettò vano al traguardo l’altro nobile del gruppo di piloti Ferrari, al quale aveva già promesso una cena ristoratrice. A causa dello scoppio di uno pneumatico, Alfonso de Portago era volato tra la folla a Guidizzolo, in provincia di Mantova, morendo sul colpo ed uccidendo nove spettatori. Un incidente terribile, difficile da digerire, ma perdere amici, colleghi ed avversari settimanalmente era la norma in quel periodo. Assieme ad Hawthorn, Musso, Collins e Behra, il sabato prima del Gran Premio di Reims 1958, aveva completamente svuotato la camera di Herry Schell, pilota britannico, e della moglie. Non contenti, mentre il malcapitato era bloccato nella stanza appositamente chiusa a chiave, i cinque avevano pennellato sulla Vespa 400 nuova di zecca del povero Schell la scritta ‘A Vendre’, per poi esporla nella hall dell’hotel. Nessuno dei quattro complici di Wolfgang sopravvisse al 1959: morirono tutti correndo. Così divenne lui la punta di diamante della Scuderia, l’uomo destinato all’assalto al mondiale di F1. La prima, vera occasione arrivò nel 1961.


LEI, LA VETTURA

Dopo tre stagioni dalla prima vittoria in F1 di una monoposto a motore centrale, nel 1961 la Ferrari presentò il modello 156 F1. Enzo Ferrari, superando le reticenze verso un’architettura tanto rivoluzionaria (‘Non si sono mai visti i buoi spingere il carro’), diede il suo avvallo al progetto dell’Ingegner Chiti: sulla base del motore V6 a 65° della 156 F2, conforme al nuovo regolamento della massima serie che limitava la cilindrata a 1500cc vietando i compressori, il geniale tecnico toscano sviluppò un telaio tanto razionale quanto efficace. Il motore era collocato in posizione centrale all’interno di una struttura portante tubolare, con i serbatoi della benzina collocati ai lati dell’abitacolo ed il radiatore nel muso, alimentato da prese ovoidali che donarono al modello il soprannome Shark Nose. La vettura, estremamente competitiva sin dai primi chilometri percorsi, divenne imbattibile quando Chiti vi introdusse una nuova versione del V6, stavolta caratterizzato da un angolo tra le bancate di 120°, capace di abbassare notevolmente il baricentro della monoposto. Complici i ritardi della concorrenza inglese nello sviluppo dei nuovi motori, la 156 F1 vinse cinque delle prime sette prove del mondiale 1961, il che permise a Wolfgang von Trips (primo a Zandovoort e Aintree) ed al compagno di squadra Phil Hill (vincente a Spa) di presentarsi a Monza, penultima tappa del mondiale prima della chiusura statunitense, come unici pretendenti al titolo Piloti.


LA LORO AVVENTURA

Monza, Gran Premio d’Italia 1961. Phil Hill si schiera quarto in griglia, ma sa che sulla distanza di gara ha ben poche possibilità di battere von Trips, suo compagno alla Ferrari e autore della pole position. È tanto demoralizzato da confidare al direttore sportivo della Scuderia, Romolo Tavoni, la decisione che ha preso nella notte: dopo tre giri di corsa si ritirerà. Troppa la differenza d’abilità nei confronti di von Trips. Wolfgang, accortosi dell’agitazione del rivale, chiede delucidazioni a Tavoni che gli illustra la situazione. Il nobile tedesco prova simpatia verso il collega, che considera soprattutto un amico. Sono troppi i viaggi insieme, troppe le avventure condivise sulle piste di tutto il mondo per non tendergli la mano ed aiutare Hill col gesto più prezioso per un pilota. Taffy prende da parte il collega: ‘Phil, oggi ti starò dietro. Proteggerò la tua vittoria. Il campionato ce lo giochiamo al Watkins Glen.’ Von Trips è fedele alla sua parola. Al termine del primo giro è quinto, impegnato a frenare la risalita di Jim Clark sulla Lotus. Hill invece è al comando della corsa. Una sola tornata dopo, il gruppone si avvia compatto verso la Parabolica. Von Trips si deve sforzare per mantenere un’andatura tranquilla. Cercando di non recuperare terreno nei confronti dei primi, oltre che per preservare le molle delle valvole del motore (ai piloti Ferrari è stato chiesto di cambiare 500 giri prima del limitatore), Wolfgang stacca con largo anticipo il piede dall’acceleratore in rettilineo. Lo fa anche alla Parabolica. Jim Clark, dietro di lui, viene colto in contropiede. Non riesce ad evitarlo, e lo tampona. Taffy perde immediatamente il controllo della vettura, punta verso il terrapieno a bordo pista, a cavallo del quale sono stipate decine di spettatori. La sua 156 F1 ne travolge una ventina, ferendone quattordici a morte. Wolfgang viene sbalzato dall’abitacolo, finendo inerme a bordo pista. Il nobile dal sorriso mesto non c’è più.


L’altruismo di Wolfgang non fu premiato. Se ne andò come Peter Collins, senza la possibilità di giocarsi il Mondiale pur avendo aiutato un compagno di squadra nella conquista dell’iride. Phil Hill vinse infatti a Monza, il che lo laureò matematicamente campione. Probabilmente Taffy era convinto che per lui si sarebbero presentate mille altre occasioni, per questo corse difendendo il compagno. Oppure si comportò così solo perché era giusto farlo. Non lo sapremo mai.


Wolfgang von Trips e la Ferrari 156 F1: da qualche parte, in sbandata controllata, staranno ancora staccando un gruppone di inseguitori. Imprendibili, per sempre.

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