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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Estoril 1984 - Per Mezzo Punto



Domenica 21 ottobre 1984. Circuito dell’Estoril, Portogallo. Nonostante sia ancora primo pomeriggio, i raggi del sole autunnale si appoggiano quasi orizzontali sul tracciato, donando all’intero ambiente una patina dorata.


Sono passati ventiquattro anni dall’ultima corsa del Mondiale in terra lusitana, così un’intera generazione di appassionati stipa il circuito all’inverosimile, soprattutto nella sua parte iniziale. La pista sorge a pochi chilometri da Lisbona, e il Gran Premio di Formula Uno è il primo, grande evento dopo la ristrutturazione totale volta a rendere l’impianto all’avanguardia in Europa. Non a caso il Circus vi approda per disputare l’ultima corsa della stagione, decisiva per l’assegnazione del titolo iridato.


Il campionato 1984 non ha avuto storia. La McLaren Mp4-2, curata da John Barnard e la sua equipe tecnica, ha letteralmente annichilito la concorrenza. Il cuore del progetto rimane il telaio in fibra di carbonio, introdotto dallo stesso team inglese tre anni prima. La differenza, soprattutto rispetto agli avversari, risiede nella cura maniacale di ogni aspetto connesso alla monoposto, motore ed aerodinamica su tutti. La squadra fondata ventuno anni prima dal neozelandese Bruce, ora saldamente nelle mani di Ron Dennis, si affida per la prima volta ad un propulsore sovralimentato proprio sulla Mp4-2. Il sei cilindri biturbo Porsche, marchiato Tag-Heuer, è un vero e proprio gioiello, frutto della strettissima collaborazione tra il suo progettista (Hans Mezger) e Barnard stesso. Affidabile, sufficientemente potente, parco nei consumi e soprattutto poco ingombrante: sono queste le richieste, magistralmente rispettate, giunte ai tavoli tecnici della Casa di Stoccarda. Barnard non cercava unicamente una corretta distribuzione dei pesi pretendendo ingombri ridotti; l’obiettivo principale, al contrario, era l’introduzione del retrotreno a bottiglia di Coca-Cola, una svasatura aderente al cambio ancora oggi in voga nelle monoposto da Gran Premio.


L’equilibrio perfetto del pacchetto vettura ha permesso ad Alain Prost e Niki Lauda, alfieri McLaren, di aggiudicarsi undici delle quindici corse disputate fino al Gran Premio del Portogallo, un dominio mai sperimentato prima nella massima serie. Solo la Ferrari di Alboreto, la Williams di Rosberg e la Brabham-BMW di Piquet (due volte) sono riuscite ad opporsi alla dittatura bianco-rossa, cogliendo vittorie figlie principalmente di circostanze del tutto eccezionali, come il caldo record di Dallas. Per il resto, nonostante non brillino in qualifica, in corsa le McLaren scompaiono letteralmente alla distanza, dotate di un passo irraggiungibile per qualunque avversario.


Lauda guida la classifica grazie ad un margine a dir poco esiguo: tre punti e mezzo. Nulla, in sostanza. Dovesse aggiudicarsi la corsa Prost, Niki non potrebbe terminare oltre il secondo gradino del podio, altrimenti il mondiale andrebbe al francese. Tutta la stagione dell’austriaco, rientrato in Formula 1 nel 1982 dopo tre anni sabbatici, è stata all’insegna della concretezza. Tanto in gara quanto soprattutto in qualifica, dove solo raramente ha montato gomme morbide. Resosi conto dell’impossibilità di raggiungere i tempi di Prost sul giro secco, il pilota-computer per antonomasia ha sfruttato ogni minuto di prove durante l'annata per trovare l’assetto migliore in vista della corsa. Il che ha ripagato, portandolo a conquistare cinque Gran Premi (contro i sei di Prost) e diversi piazzamenti a podio. La vittoria in Austria (Prost ritirato, Niki al traguardo con il cambio bloccato in quarta) e il punteggio dimezzato di Montecarlo, quando Alain vince di un soffio su uno scatenato Senna sotto al diluvio, hanno completato l’equazione, permettendo all’austriaco di presentarsi in Portogallo forte del minimo vantaggio in graduatoria.


In diversi però, sulla griglia di partenza dell’Estoril, si chiedono se Niki stavolta non abbia esagerato. L’austriaco è 11° in griglia, lontanissimo anche dal singolo punto della sesta posizione, e il miglior tempo nel warm-up mattutino assume i preoccupanti contorni di un premio di consolazione. Prost scatta dalla prima fila accanto al poleman Piquet. Lauda recupererà sicuramente posizioni, nessuno lo mette in dubbio, ma il compagno di squadra francese è troppo avanti. Può soprattutto contare su nove alleati, tra i quali spiccano Piquet stesso, Mansell su Lotus, Alboreto, Rosberg su Williams-Honda e Ayrton Senna; il giovane brasiliano, terzo in griglia, è protagonista dell’ennesima, incredibile prova di forza al volante della modesta Toleman.


Al via Prost scatta bene, meglio di Piquet, ma non quanto Rosberg e Mansell, decisamente aggressivi alla prima, insidiosa curva in discesa. Il francese non perde minimamente la calma, sa benissimo che al volante di una McLaren transitare terzo al primo giro significa avere la vittoria in tasca. A meno che Lauda non sia davanti, ma dell’austriaco non c’è traccia, impegnato com’è a districarsi intorno alla decima posizione. Al termine della prima tornata Alain è secondo, dopo aver sverniciato Mansell in rettilineo; Rosberg si rivela un cliente più difficile, soprattutto grazie alla potenza del motore Honda, ma basta aspettare che le sue coperture si consumino abbastanza ed il sorpasso, al decimo giro, diventa quasi una formalità.


Nessuno può fermare Alain Prost. Infatti, nessuno lo fermerà, tanto che il francese rivedrà la compagnia solo ai box, dopo aver tagliato il traguardo in netto anticipo rispetto a qualunque concorrente. Lauda incluso. L’ennesima vittoria schiacciante della Mp4-2.


Più indietro la gara è piacevole: Rosberg, in crisi di gomme, instaura un duello rusticano con Mansell, visibilmente più veloce. L’inglese ha la meglio dopo un giro ruota a ruota, a tratti nel senso meno figurativo del termine. Senna è veloce e preciso, al contrario di Piquet che finisce in testacoda già al primo passaggio. De Angelis, anch’egli su Lotus, si ferma prima di un terzo di gara, allungando la lista di ritiri che a fine corsa comprenderà gran parte dei piloti di fondo schieramento.


Gli occhi di qualunque spettatore, però, sono fissi su una monoposto bianco-rossa. Quella di Niki Lauda. I giri, nella prima parte di corsa, passano senza che accada nulla. Niki appare impotente. La favola dell’eroe del Nürburgring, l’uomo tornato a correre quaranta giorni dopo l’inferno della Nordschleife, pare destinata ad un finale amaro. Il secondo ritorno in Formula Uno si chiuderà senza titoli; Prost è troppo forte. Lui, l’esperto campione del mondo - perifrasi per evitare il termine anziano -, il gelido asburgico senza cuore, capace di rifiutare Enzo Ferrari, sta soccombendo alla pressione della corsa finale. Rasenta l’impossibile, ma è bloccato dietro la Toleman del giovane Johansson. Guadagna posizioni solo grazie ai ritiri altrui.


Nessuno conosce la realtà, ai tempi non esistono le comunicazioni radio, né tantomeno la telemetria in tempo reale. Uno dei turbo di Niki funziona solo a tratti. Il motore Porsche è zoppo, incapace di esprimere la massima potenza, preziosissima nella rimonta a cui è chiamato l’austriaco.


Il soprannome di Lauda, però, non è nato per caso: Niki è davvero un calcolatore eccezionale. Conscio del problema ha risparmiato benzina e pneumatici nella prima parte di gara. Attaccherà quando i piloti avversari, al volante di monoposto stanche, faticheranno enormemente a rintuzzare le sue manovre, il che renderà quasi ininfluenti le magagne alla bancata sinista del V6.


La prima mossa avviene al 27° giro su 70°. Johansson manca una cambiata, Niki ne approfitta e si disfa della Toleman. In meno di un giro incalza la Ferrari di Alboreto. Saltata come un birillo. Tre giri dopo è il turno di Rosberg.


Niki ora è quarto. Serve qualche giro in più per disfarsi di Senna, che copre magistralmente la traiettoria interna alla staccata della prima curva, ma alla fine l’attacco va a segno.


Lauda è terzo. Tra lui e il titolo mondiale resta solo la Lotus di Nigel Mansell. Una macchia nero e oro copre la terza corona iridata, la rende invisibile. Il pubblico si è appassionato alla rimonta dell’austriaco, ha salutato con un’ovazione ogni sorpasso. Ora, però, sembra essersi quasi ammutolito. Sedere a bordo pista aiuta a rendersi conto dell’enormità della sfida: mancano poco più di trenta giri e Lauda viaggia a 35’’ da Mansell, l’unico capace di avvicinarsi al passo delle McLaren.


Pare finita sul più bello. Proprio quando ne restava uno solo da sorpassare. Niki è il pendolare al quale si chiudono in faccia le porte del metrò. I giri passano e Lauda recupera poco, rallentato tra l’altro da doppiaggi veri, durante i quali i piloti avversari non si scansano alla prima bandiera blu, semmai rendono solo meno difficile il sorpasso.


Giri e minuti: entrambi scorrono senza che succeda niente. Il sole è sempre più basso, le ombre si fanno lunghissime. Fino a quando, al 52° giro, la folle esplode. Un boato attraversa l’intero circuito.


Mansell si è girato! L’inglese riprende il tracciato ma procede a rilento: i freni sono ko, deve rientrare mesto ai box.


Niki Lauda è secondo. Non deve sbagliare nulla. Non sbaglia nulla: non una frenata, non una cambiata. Accarezza il motore che, seppur in affanno, lo accompagna fino al traguardo.


Lì Niki alza le mani e saluta i meccanici festosi a bordo pista.


Lauda è campione del mondo, per un soffio.


Mezzo punto.

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