Manca poco meno di una settimana perché le monoposto di Formula 2 scendano nuovamente in pista a Jeddah, in Arabia Saudita.
I motori Mecachrome si accenderanno dopo nove settimane di silenzio assoluto, un lasso di tempo fin troppo simile ad una pausa invernale. Non che sia la prima volta, in una stagione segnata da un calendario eccessivamente spezzettato e da un format del fine settimana – tre corse di cui due a griglia invertita – mal digerito da spettatori, addetti ai lavori e piloti.
I mesi di pausa tra una corsa e l’altra, l’incomprensibile preponderanza di tracciati cittadini in calendario e il cervellotico sistema di assegnazione dei posti in griglia per le corse sprint hanno reso nebuloso il panorama di una categoria che, al contrario, dovrebbe esaltare i propri campioncini in maniera inequivocabile. Se da un lato il passaggio di un solo pilota in Formula Uno rientra nell’ordine delle cose (Zhou in Alfa Romeo, ndr), dall’altro è sconcertante constatare come a dicembre inoltrato, complici i 63 punti in palio in ogni fine settimana, il campionato sia lontanissimo dal coronare il proprio vincitore.
Tempistiche del genere rendono il travaso di piloti verso la massima serie ancor meno meritocratico, dato che i contratti per i venti sedili più importanti del pianeta vengono solitamente firmati a cavallo del Gran Premio d’Italia. Non a caso dal 2022 si ritornerà al classico format nato nel 2005 e alla coabitazione tra Formula 2 e Formula 3, almeno per quanto riguarderà buona parte dei fine settimana europei.
Non è detto però che questo (precipitoso) ritorno alle origini renda meno preoccupante il futuro di una categoria per molti anni egemone nella strada verso la Formula Uno. Quali percorsi alternativi attrarranno i piloti europei e non nelle prossime stagioni? Perché diversi campionati, propedeutici e non, hanno ottime possibilità di ridimensionare il ruolo della Formula 2?
L’ATTUALE PIRAMIDE FORMATIVA
Lasciando da parte i problemi connessi alla stagione 2021 di Formula 2, può essere utile inquadrare lo status quo che governa da più di un lustro la carriera dei giovani piloti, o almeno di coloro che puntano alla massima serie. Col Cuore in Gola si occupò qui delle criticità che caratterizzano il sistema, per cui eviteremo di ripeterci limitandoci a recitare l’elenco quasi fosse una poesia delle scuole elementari. Si inizia dal kart, passaggio ormai obbligato, si passa alla Formula 4, poi alla Formula Alpine, in seguito alla Formula 3 e si finisce con la Formula 2. Sono ammesse variazioni sul tema, come la W Series o possibili salti di categoria, ma l’ultimo scalino è pressoché obbligato.
Dalla chiusura della Formula Renault 3.5, infatti, la Gp2/F2 ha letteralmente monopolizzato la funzione di fucina della F1. In qualche caso eccezionale, come quello di Pierre Gasly, un’ulteriore stagione nella SuperFormula giapponese - e/o col ruolo di terzo pilota - è servita a lasciar scorrere le lancette dell’orologio; nulla, però, che ribaltasse una decisione presa al termine dell’avventura nella serie cadetta.
La piramide immaginata dalla FIA vedrebbe convergere in Formula 3 piloti provenienti da tutto il mondo, grazie ai campionati di Formula 4 nazionali e alle terze serie regionali (ad oggi presenti in Europa con l’Alpine, in Giappone e in America). Un’idea meritocratica, logica e alquanto moderna che si è però rivelata perdente alla resa dei conti – e non solo di quelli sportivi.
Il costo delle serie minori è infatti talmente elevato che i piloti di tutto il mondo convergono subito verso l’Europa, dove si corrono i campionati di livello più elevato e hanno sede le scuderie che partecipano a Formula 3 e Formula 2. Tale dinamica genera una sorta di circolo vizioso dentro al quale i prezzi lievitano, complice la domanda maggiore dell’offerta, e una carriera dalla Formula 4 alla Formula 2 arriva a costare intorno ai cinque milioni di euro, considerando poche ripetizioni di campionati e la scelta di scuderie mediamente competitive. Un panorama dal quale si salvano – in parte – i giovani appartenenti alle Academy di F1, ma che sostanzialmente non lascia scampo a nessuno da anni, rendendo vani i tentativi di riportare in auge serie storiche come la Formula 3 britannica (oggi GB3) o di creare veri e propri campionati alternativi come l’Euroformula Open.
Il vento, però, sembra cominciare a spirare in una direzione diversa.
STELLE E STRISCE
Negli anni Novanta il Giappone era la terra promessa per i giovani piloti europei. Ottime paghe, serie iper-competitive e notorietà assicurata. Il Motorsport moderno è completamente cambiato, soprattutto a livello di monoposto, e difficilmente un giovane pilota senza un ottimo palmares diventa professionista in pochi anni. Per gareggiare serve sempre un appoggio, provenga esso da uno sponsor o da risorse familiari.
Negli Stati Uniti, a patto di vincere, questa cifra può rimanere molto contenuta. Il programma Road to Indy, formato da USF Juniors, USF2000, Indy Pro 2000 e Indy Lights assicura infatti un premio in denaro per il vincitore di ogni campionato, sufficiente a finanziare buona parte della stagione successiva nella categoria superiore. La vittoria in Indy Lights, ultimo gradino della scala, assicura 1.3 milioni di dollari da spendere in Indycar, 500 miglia di Indianapolis compresa.
Si tratta di una filosofia formativa del tutto diversa a quella che contraddistingue da anni le categorie europee, di certo non priva di limiti ma senza ombra di dubbio ben più meritocratica. Inoltre, approdare in Indycar non significa necessariamente abbandonare il sogno della Formula Uno; il campionato è ben più competitivo e seguito della Formula 2, offre molte più possibilità di diventare professionisti e, a patto di vincere la borsa di studio Indy Lights o attrarre sponsor statunitensi, non costa enormemente di più della serie cadetta.
Matteo Nannini, Callum Illot e Christian Lundgaard, tutti protagonisti nel paddock adiacente alla Formula Uno, in un modo o nell’altro dovrebbero correre negli Stati Uniti nel 2022; un vero e proprio cambio di paradigma, soprattutto se si considera il passato recente.
GT3 E PROTOTIPI
Vari giovani piloti che hanno sfiorato la Formula Uno nell’ultimo decennio sono riusciti a costruirsi una carriera professionale nella categoria GT3, letteralmente esplosa grazie al GT World Challenge, un tempo conosciuto come Blancpain GT Series. Contratti con Case Costruttrici, gare in tutto il mondo e per tutto l’anno e un livello di soddisfazione personale inarrivabile, di certo più elevato che battagliare per qualche punto in Formula 3 complice una monoposto lontana dalle migliori.
Un domani, con l’ormai probabilissima entrata delle GT3 nel mondiale endurance, quella che oggi è una sorta di scelta di vita mista a presa di coscienza potrebbe trasformarsi in un trampolino di lancio verso vette del tutto inaspettate. Brillare nel WEC o in America potrebbe infatti spalancare le porte del mondo dei prototipi ibridi e da lì, complice la presenza di Ferrari, Porsche, Audi, BMW, Toyota, Peugeot e Honda, il salto verso posizioni apicali nella famiglia di piloti di un Costruttore potrebbe avvenire senza enormi ostacoli. In fondo, i nuovi regolamenti per il mondiale endurance promettono un ritorno agli anni d'oro della categoria, il che renderà le corse di durata estremamente formative sia dal punto di vista del pilotaggio che da quello gestionale; non è utopico pensare che, tra meno di un lustro, qualche giovane pilota segua le orme di Jochen Rindt e vinca la 24 ore di Le Mans prima di approdare in Formula 1.
Mentre Piastri si prepara a difendere a Jeddah la testa della classifica del campionato di Formula 2, ben conscio che comunque vada l’ultimo sedile in F1 andrà a Zhou, un’intera generazione di piloti potrebbe quindi cominciare ad esplorare strade diverse; in fondo, quella percorsa dall'australiano - vincitore in Formula Alpine, Formula 3 e molto probabilmente Formula 2 - lo lascerà con il cerino in mano almeno per una stagione.
Le ultime due corse di questa stagione, allora, potrebbero andare ben oltre il coronare un pilota campione, sia egli Piastri, Zhou, Pourchaire, Ticktum o Vips. Al contrario, potrebbero rappresentare la fine di un'epoca. E non è detto sia un male.
P.s: il team di SENZAF1ATO ringrazia Stefano, membro del sito, per lo spunto da cui deriva la ricerca che ha dato vita a questo articolo. Nel caso foste interessati ad ulteriori approfondimenti in merito o ad argomenti differenti, non mancate di segnalarlo nei commenti! Fonte immagine: FIA/Twitter
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