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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Imola 1985 - La corsa che nessuno voleva vincere


5 maggio 1985. È una domenica dal cielo scuro ad Imola, una di quelle giornate primaverili che sembrano volersi ribellare al profumo dei fiori e al primo sole che scotta spalle reduci da un lunghissimo inverno. La pista del Santerno mostra ancora qualche chiazza d’umido, dopo la pioggia della notte precedente. I piloti schierati in griglia per il Gran Premio di San Marino, però, prenderanno tutti il via con gomme slick.


Centocinquantamila anime affollano ogni possibile scorcio dal quale si possa osservare il tracciato: tribune, prati fangosi, cartelloni pubblicitari, balconi e tetti delle abitazioni. Il popolo Rosso ha invaso la cittadina romagnola per celebrare i primi passi di quella che sembra poter diventare, in quei giorni di maggio, un’avventura meravigliosa, storica, sconvolgente e appassionante. Michele Alboreto, pilota milanese di ventinove anni, è primo nella classifica iridata. Primo. Al volante di una Ferrari. Un italiano su una monoposto del Cavallino Rampante. Due secondi posti di fila, in Brasile e Portogallo, promettono una domenica incandescente. Prost, il rivale più accreditato al titolo, ha vinto in Sudamerica ma si è ritirato nel diluvio lusitano. Lauda, il campione del mondo in carica, ha faticato in entrambe le gare. Michele partirà dalla quarta casella in griglia di partenza; Prost è sesto, dietro alla Arrows-BMW di Boutsen, Lauda addirittura ottavo. Il motore TAG-Porsche, tanto parco nei consumi, in qualifica non raggiunge i picchi di potenza di cui sono capaci le unità Ferrari, BMW e Renault, così i piloti McLaren (Prost e Lauda stessi) sono costretti ogni domenica a rimontare dal fondo. A volte ci riescono, altre no. La marea scarlatta spera ardentemente nella seconda opzione.


Alboreto non dovrà solamente guardarsi le spalle dagli attacchi delle vetture bianco rosse. Di fianco a lui si schiera De Angelis, su Lotus-Renault, e nella fila appena davanti la Williams-Honda di Rosberg e l’altra vettura nero-oro. Quella con il numero 12 dipinto sul musetto. Quella condotta da un giovane brasiliano, un ragazzo di cui si dice un gran bene, capace a metà aprile di vincere la prima corsa in Formula Uno: Ayrton Senna. Colui che diventerà il Mago, un’iradiddio nel diluvio dell’Estoril, dove ha doppiato tutti tranne Michele stesso. Un campione annunciato, la speranza di un popolo intero. Un pilota capace, dal 1985, di conquistare sette pole position di fila ad Imola, sviluppando con la pista del Santerno un rapporto unico, speciale, trionfalmente viscerale fino alla tragedia del primo maggio 1994. Insomma, un cliente quasi impossibile.


Qualche minuto dopo le 14 ventisei monoposto della massima serie si schierano sulla griglia di partenza. Sono gli stessi piloti a donare al momento un ritmo tanto incalzante quanto infernale: dovendo mantenere pronto il turbo dei propri motori, danno incessanti colpetti di gas a una precisa cadenza. Sembrano un manipolo di folli direttori di orchestra, pronti a lanciarsi a trecento chilometri l’ora nell’infinito rettifilo che dalla piega del Tamburello conduce alla staccata della Tosa, su delle vasche di carbonio circondate da centinaia di litri di carburante. Comunque troppo pochi, almeno per i motoristi delle varie scuderie; Imola, infatti, è tra le piste maggiormente probanti per l'impiego di carburante. Non esattamente la migliore delle prospettive, per il Circus impegnato in quella che verrà ricordata come Formula Consumo.


Allo spegnimento dei semafori Ayrton scatta magistralmente, seguito da De Angelis, Alboreto, Prost, Rosberg, Mansell (Williams) e Lauda. Il gruppone procede ordinato dopo la Tosa salendo verso la Piratella, mentre le telecamere inquadrano il susseguirsi di fiammate che escono dagli scarichi delle monoposto, quasi a rappresentare l’avvertimento di un drago feroce nascosto tra le bancate dei propulsori urlanti. I primi quattro piloti dimostrano subito di averne più degli altri; De Angelis si accoda a Senna, in controllo, mentre Prost tenta in tutti i modi di attaccare Alboreto. L’italiano però è attento, non si lascia deconcentrare e sfrutta la potenza del V6 Ferrari in uscita dalle curve lente per staccare quel tanto che basta la McLaren di Prost.


Nelle posizioni di rincalzo Lauda si sbarazza abbastanza velocemente delle Williams, promettendo la solita rimonta verso la vittoria, tanto consistente quanto poco spettacolare. Più indietro, è la monoposto numero 28 ad accendere gli animi del pubblico. È l’altra Rossa, quella pilotata da Stefan Johansson. Il giovane svedese, clamoroso sostituto di Arnoux dopo la corsa brasiliana, in qualifica ha comprensibilmente faticato, tanto da fermarsi ad un ben poco esaltante quindicesimo posto. In corsa, però, sta recuperando bene, lasciando presagire la possibilità di un arrivo ai punti (ai tempi riservati ai primi sei).


Alla decima tornata su sessanta, dopo aver chiuso per l’ennesima volta la porta in faccia a Prost, Alboreto rompe gli indugi. È tempo che il Cavallino numero 27 cominci a galoppare. Sfruttando un piccolo calo di rendimento di De Angelis, la Ferrari infila la Lotus alla staccata della Tosa conquistando senza molti complimenti l’interno della curva. Poco dopo anche Prost scarta il romano, ma la folla quasi non se ne accorge. È tutta in visibilio per Michele, che sta velocemente ricucendo il divario nei confronti del leader Senna.


Sembra un sogno troppo bello per essere vero, ed infatti svanisce al 23° giro. Alboreto perde potenza sin dalla salita verso la Piratella. Alla Variante Alta prova a difendersi da Prost, ma in uscita la McLaren è troppo veloce. Michele si ritirerà un giro dopo per problemi elettrici.


La folla si ammutolisce velocemente. Eppure, davanti ad essa la corsa ha ancora da regalare molto. Poco prima di metà gara Lauda inizia a faticare nelle cambiate: arriverà alla fine, ma doppiato e fuori dal podio. Lo spettacolo, comunque, rimane garantito dalla coppia di testa. Ayrton Senna e Alain Prost. Il Mago e il Professore, alla prima puntata di una rivalità che segnerà per sempre non solo la storia del motorismo, ma dell’intero sport. In realtà i due sfiorarono l’incrocio delle armi già nel 1984 a Montecarlo, durante la corsa che presentò Senna al mondo intero; la bandiera rossa esposta da Ickx, però, castrò il duello proprio nel momento topico. Ad Imola è diverso. Ad Imola i due battagliano per davvero: Prost attacca, Senna chiude. Prost incrocia la traiettoria, Senna si mette di traverso. Il brasiliano, dopo dieci minuti al cardiopalma, riesce a resistere.


La vittoria sembra sua. Alain rischia di non arrivare in fondo, il livello del carburante è troppo basso. Deve sì rassegnarsi al secondo posto, ma così facendo si assicura un ottimo bottino di punti utile a distaccare Alboreto in classifica piloti.


Il francese, circondato dal frastuono del motore Porsche, non può sentire i boati che giungono dalle colline sul Santerno. Dietro di lui, una macchia rossa è scatenata. Johansson, lo svedese al volante della Ferrari, destinato a conquistare solo pochi punti, è impegnato in una rimonta furiosa. Per lui il consumo carburante sembra non esistere. Dopo aver saltato come birilli le Alfa Romeo, le Renault, le Arrows, le Brabham e le Williams, la Rossa numero 28 si sbarazza in pochi giri di Lauda e punta al terzo posto di De Angelis. Lo passa intorno al quarantesimo giro con una manovra da cineteca: mentre il romano è infastidito da Piquet e Boutsen, doppiati e in battaglia, Stefan lo inganna infilandosi all’esterno della Tosa. La folla è in delirio.


Giro 53. Otto tornate al termine della corsa. Johansson ha raggiunto Prost. Prende la scia al Tamburello. Emerge dall’alettone posteriore della McLaren alla Villeneuve. Passa prima della Tosa. È secondo. Resta solo Senna, a una decina di secondi scarsi. La Ferrari guadagna costantemente, ad ogni tornata. Troppo poco, però. A meno che…


Tornata 57. Senna viene inquadrato nella discesa che porta alla Rivazza. Imbocca la curva, poi rallenta. La monoposto saltella. Ayrton ha finito la benzina. Johansson è primo. Lo devono aver sentito a Bologna, il boato del popolo rosso. Mancano tre giri. Tre tornate infinite. Stefan passa il traguardo, ha un buon vantaggio. Non deve spingere, deve solo gestire. Emerge dalla Tosa, imbocca la Piratella, scende verso le Acque Minerali. Lì, tocca a lui. Il motore Ferrari recalcitra. Un sensore difettoso ha determinato un’immissione di carburante più alta di quanto indicato dalla strumentazione. Durante tutta la gara. Spingendo nel finale come ha fatto l’inconsapevole Johansson, era inevitabile rimanere a secco.


Le tribune si svuotano, anche troppo velocemente. Vince Prost, che negli ultimi giri non cambia marcia e si ferma cinquecento metri dopo il traguardo. Secondo è De Angelis, terzo Boutsen, doppiato e anche lui senza benzina ma abile a spingere la monoposto – a braccia – fin oltre il traguardo, guadagnando un podio insperato al volante della Arrows-BMW.


Nel dopogara i commissari procedono alla pesa delle monoposto. Il limite minimo, per regolamento, è di 540 kg. La McLaren numero 1 di Niki Lauda raggiunge i 542 kg; la monoposto gemella, quella vincitrice, i 538 kg. Le misure vengono ripetute più volte, ma il verdetto è sempre lo stesso. Alain Prost è squalificato. Sul podio sale la Renault di Tambay.


Elio de Angelis, su Lotus-Renault, vince il Gran Premio di San Marino 1985. La gara che tutti volevano vincere. O forse nessuno.

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