Il ritorno alle corse di Niki Lauda è pura e semplice leggenda. Racconti emozionanti, film di Hollywood e fotografie in bianco e nero trasmettono solo in parte la grandiosità di un’impresa rimasta nella storia dello sport, oltre che del motorismo. Solamente chi riuscì ad ammirare da vicino Niki in quel fine settimana brianzolo, chi vide la balaclava impregnata dal sangue delle ferite ancora aperte, poté forse comprendere appieno quanto accadde. Forse, perché qualcosa di inafferrabile nella ferrea volontà di Lauda, nel coraggio di una rimonta impossibile dopo una partenza terribile, rimane intimo. Imperscrutabile.
Esattamente come rimangono oscure e mai del tutto chiarite le parole, le azioni e le decisioni che portarono a quel Gran Premio d’Italia 1976. Sulla 312T2 di Niki, durante la corsa del Nürburgring, vi fu o no un cedimento meccanico a determinare la perdita d’aderenza che innescò lo schianto e il successivo rogo? L’esame dei rottami, così come l’ispezione visiva del luogo dell’incidente, convinsero Audetto e Ferrari dell’errore del pilota, impegnato in una rimonta furiosa e non del tutto lucida, viste le polemiche precedenti alla corsa riguardanti la sicurezza del tracciato. Eppure Lauda, in un’intervista dell’agosto 2014 (Legends of F1 – F1TV), ancora sposava la tesi di Ermanno Cuoghi, suo fedelissimo meccanico convinto della rottura. La ricerca di un sostituto dell’austriaco (Fittipaldi, Peterson e la scelta finale Reutmann), e i dubbi del Commendatore riguardo la ripresa fisica di Lauda, minarono un rapporto probabilmente destinato al deterioramento: Niki cominciava a contare quanto la Ferrari. Ben prima dell’incidente. Ormai era la stella indiscussa del Circus, una stella capace di oscurare anche il Cavallino, eventualità difficile da digerire per il Drake. Le reciproche incomprensioni raggiunsero l’apice – molto probabilmente ingiustificato, in fondo la stima reciproca e i successi erano enormi – nei primi mesi del 1977. Lauda racconta, sempre nella stessa intervista: ‘era l’inverno 76-77. A Fiorano erano in programma stupidi test dei dischi freno. Al Paul Ricard, invece, proseguiva lo sviluppo della 312T2. Ferrari mi informò che in Francia, per tre giorni, avrebbe testato Reutmann: era lui la nuova prima guida. Reutmann, quello che avevano preso per sostituirmi, guidava la mia macchina in prove destinate a me! Presi il contratto e minacciai Ferrari, inventandomi di sana pianta un’offerta McLaren: doveva lasciarmi andare al Paul Ricard. Altrimenti sarei stato libero di andarmene. Lo stabiliva il contratto. Ferrari acconsentì, ma solo per la giornata finale. Nessun problema. Andai a Le Castellet, salì in vettura, scaldai per qualche giro monoposto e gomme e poi completai un solo giro lanciato. Sei decimi più veloce di quanto ottenuto nei due giorni precedenti da Reutmann. Tornai subito ai box. Il test, per me, era concluso. Arrivato a Maranello fui subito convocato dal Commendatore: ero nuovamente primo pilota.’
Le strade di Lauda e Ferrari si separarono comunque due gare prima del termine della stagione 1977: Niki, campione del mondo, abbandonò la Scuderia per passare alla Brabham-Alfa sponsorizzata Parmalat (lui ed Enzo si riappacificarono definitivamente nel 1982 a Imola con un caldo abbraccio, ndr). Il 5 marzo 1977, però, a Kyalami la stagione era solo agli albori. Niki, per quanto di nuovo prima guida, per quanto incontrastato leader in squadra, non vinceva da nove gare. Lui che fino al rogo aveva letteralmente annichilito la concorrenza nel 1976. Certo, il quarto posto al rientro a Monza aveva avuto il sapore di una vittoria, mentre il successivo stato di forma di Hunt e della McLaren dell’irripetibile. Il coraggio di avere paura, nel diluvio del Fuji, di certo valeva molto più della coppa riservata al vincitore. Eppure a Niki mancava terribilmente il gusto dello champagne. Il riconoscimento della sua superiorità. E forse, nel profondo, un po’ di timore lo accompagnava in quei primi mesi del 1977: sarebbe davvero tornato alla vittoria?
Forghieri e i suoi ingegneri presentarono a Kyalami, in Sudafrica, una 312T2 ulteriormente evoluta. In Brasile Reutmann, vincendo, aveva sancito definitivamente il ritorno ai vertici di una monoposto eccezionale, dopo l’imprevedibile trionfo di Scheckter con la Wolf a Buenos Aires. Una monoposto ancora più veloce era un’occasione da non lasciarsi scappare. Niki si qualificò terzo, alle spalle del campione del mondo Hunt (McLaren) e di Pace (Brabham-Alfa). Al via scattò bene dalla disordinatissima griglia, affiancando Scheckter – partito benissimo - all’interno della prima svolta destrorsa per poi accodarsi ad Hunt. Dietro di loro s’infilò Depailler (sulla Tyrrell P34 a sei ruote) che precedeva Pace stesso. Hunt e Lauda per qualche giro sembrarono voler riprendere la sfida infinita della stagione precedente: al termine del rettifilo Niki si avvicinava a pochi metri dal rivale. Lo scoppiettio in rilascio del Cosworth DFV precedeva di qualche centesimo di secondo l’acuto latrato del 12 cilindri piatto. Lauda sembrava visivamente più veloce: dopo sette giri di strenua resistenza, James cedette e la Rossa poté involarsi in testa. Nessuno riusciva a mantenere il ritmo dell’austriaco. Neanche Scheckter, insediatosi secondo dopo aver anche lui sopravanzato la McLaren numero 1.
Alla 22° tornata delle 78 previste il povero Tom Pryce, pilota Shadow, perse la vita in un tragico e assurdo incidente. Due giovani commissari sudafricani provarono inspiegabilmente ad attraversare il rettifilo dei box per un principio d’incendio sulla vettura di Renzo Zorzi, fermatosi pochi attimi prima. Proprio in quel momento sopraggiungevano a più di 270 km/h Pryce, Stuck e Laffitte. Tom non riuscì ad evitare uno dei due, diciannovenne, uccidendolo e spirando sul colpo a causa dell’impatto tra il casco e l’estintore trasportato dal ragazzo.
La corsa, com’era prassi ai tempi, continuò senza la minima interruzione. Lauda sembrava poter condurre agevolmente. I suoi avversari erano sempre più lontani, con Depailler capace a una decina di giri dalla fine di sopravanzare Hunt dopo un lunghissimo inseguimento ravvicinato.
Nessuno si era accorto, probabilmente neanche Niki, che la 312T2 dell’austriaco perdeva acqua. Uno dei frammenti della Shadow di Pryce aveva bucato il radiatore. Quando i livelli iniziarono a scendere vistosamente, Niki compì una delle sue prodezze. Iniziò a non raggiungere giri altissimi in rettifilo. Confidò principalmente nell’azione refrigerante dell’olio motore. Accarezzò il propulsore.
Non poteva lasciarsi scappare la vittoria. Significava troppo. Il vantaggio sulla Wolf di Scheckter e la Tyrrell di Depailler calò vistosamente, ma non abbastanza, fermandosi a 5’’2.
Sul traguardo transitò per primo Niki Lauda. Duecentosedici giorni dopo il rogo del Nürburgring l’austriaco era tornato alla vittoria. Lui, il migliore, su una Ferrari.
Inequivocabilmente Niki.
Per i più fini connoisseur della F1 anni '70, qui trovate un'ampia - e meravigliosamente rumorosa - sintesi del GP. La sequenza dello schianto di Pryce è fortemente sconsigliata ad un pubblico suscettibile.
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