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  • Immagine del redattoreLuca Ruocco

Vetture Clienti: Sì o No?


LiveMediaSRL / Shutterstock.com

La proposta di adottare vetture clienti in Formula 1 non è certo una novità degli ultimi tempi. Ciclicamente ritorna, e da sempre divide appassionati e addetti ai lavori in due categorie contrapposte. C’è chi la ritiene un’idea valida, capace di risolvere l’annoso problema della competitività dei team minori, e chi è convinto possa invece compromettere per sempre la natura dello sport, minacciandone la sopravvivenza negli scenari più estremi.


L’ultimo protagonista del Circus a rilanciare l’idea è stato Christian Horner, Team Principal Red Bull. Il manager britannico, nel corso di un’intervista rilasciata ad Autosport, ha rispolverato una proposta a lui cara da tempo: permettere alle scuderie minori l’acquisto della vettura di un top team in specifica Abu Dhabi con la quale affrontare la stagione successiva. Telaio, aerodinamica (immaginiamo in diverse specifiche di carico) e motore. Fondamentalmente squadre come Haas o Racing Point, oggi impegnate autonomamente nell’implementare concetti propri sulla base delle monoposto Ferrari e Mercedes del campionato precedente, potrebbero chiudere i propri reparti di ricerca e sviluppo dedicandosi unicamente alla gestione delle vetture in pista.


Un modello di business del genere presenta vantaggi innegabili, tanto per i Costruttori quanto per i team di centro classifica. Nel 2017 Toto Wolff, interpellato riguardo i costi delle categorie propedeutiche, stimava in 1.5 mln € il costo di una stagione in GP2 per un singolo pilota. Ora, ragionando per assurdo ipotizziamo che oggi, ad una scuderia di F2, un campionato costi 4 mln €. Tutto compreso e senza guadagni per le casse della squadra. Ovviamente il confronto con un ipotetico team clienti di F1 fatica a rimanere in piedi, soprattutto considerando le diverse stagioni d’utilizzo di una monoposto della seconda serie, ma per mantenere il nostro ragionamento su un piano il più lineare possibile possiamo prendere quella cifra come base dei nostri calcoli. Moltiplichiamola per venti ed otteniamo 80 mln €, cifra che comprenderebbe l’acquisto di due vetture, la fornitura annuale delle Power Unit (nel 2020 intorno ai 12 mln €) e i costi logistici e di gestione della scuderia. Troppo? Troppo poco? Anche aumentando il budget del 25% si raggiungerebbe la soglia ad oggi molto chiacchierata dei 100 mln € (per semplicità continuiamo ad utilizzare questa valuta anche se i team discutono in $). Soglia che però si riferisce al famigerato Budget Cup (ne abbiamo parlato qui), che esclude tra gli altri i costi di logistica e marketing, concentrandosi sulla sola componente tecnica delle spese annuali di una scuderia. Il risparmio per le scuderie clienti, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe consistente, proprio come il guadagno per i team venditori.


A tal proposito, uno degli aspetti meno considerati dell’idea è la possibilità che non siano esclusivamente Ferrari, Mercedes e Red Bull a vendere i propri telai. Nessuno vieterebbe a McLaren o Renault di proporre, ovviamente a prezzi più contenuti, la monoposto con la quale partecipano all’appuntamento finale di una stagione. Immaginando una proposta del genere integrata al Budget Cap e, soprattutto, ai regolamenti 2022, non è detto che nel mondo delle competizioni manchino del tutto persone interessate all’acquisto di vetture di medio-alta classifica della stagione precedente. Potrebbe rivelarsi un’ottima ricetta per far muovere i primi passi ad un nuovo progetto in F1 o, semplicemente, il tassello finale di una vera e propria azienda delle corse costruita nel tempo e interessata a coltivare giovani talenti garantendo guadagni alla proprietà. Potrebbe essere il caso della Prema, giusto per citare un nome famoso del panorama odierno, così come fu la storia dei primi passi di Eddie Jordan in F1. L’ex bancario irlandese, passando dalla F3000 alla massima serie, ha molto più spesso bazzicato in fondo alla classifica piuttosto che ai vertici della stessa, eppure ha salutato la compagnia nel 2005 forte di un tesoretto non indifferente, impreziosito da un mastodontico yacht.


La griglia di F1 ospita venti monoposto dal 2015. Caterham, Marussia e HRT sparirono tutte nel giro di sei anni, mentre la Haas, arrivata nel 2016, sopravvive grazie ad un modello di business vicinissimo alle vetture clienti. Rimpolpare i ranghi sarebbe positivo tanto per lo spettacolo quanto per grandi squadre in difficoltà: nel 2020 un quattordicesimo posto di una Renault è disastroso. A rigor di logica dovrebbe esserlo anche con 24 monoposto in pista, ma realisticamente verrebbe percepito in modo diverso, addolcendo la sconfitta. Figurarsi fossero 26, il numero massimo contemplato dal regolamento.


Quanto senso avrebbe dal punto di vista della competitività l’idea delle vetture clienti? Confrontando le edizioni 2017 e 2018 del Gran Premio di Abu Dhabi – circuito scelto vista la contenuta variabilità delle condizioni atmosferiche da una stagione all’altra -, appuntamenti finali di campionati dove il regolamento tecnico è rimasto pressoché invariato, Halo escluso, si possono trarre alcune conclusioni interessanti. La Pole Position di Bottas del 2017 (1’’36.231) avrebbe permesso al finlandese di schierarsi ottavo in griglia nel 2018, davanti alla Sauber-Alfa Romeo di Charles Leclerc (1’’36.237). Un ipotetico cliente Ferrari, forte della SF70-H, avrebbe concluso le qualifiche 11° mentre un pilota forte della Renault 2017 non sarebbe andato oltre la 18° piazza. Comunque capace, è bene sottolinearlo, di staccare un tempo migliore delle Williams.


Diventa quindi agevole comprendere il potenziale competitivo delle vetture clienti. Sicuramente alcuni dettagli tecnici legati ad un’eventuale adozione andrebbero discussi a fondo. Le unità propulsive sarebbero ferme all’ultima specifica della stagione precedente, il che ridurrebbe ulteriormente i costi, oppure seguirebbero le canoniche evoluzioni stagionali dei Costruttori, aiutando ulteriormente le prestazioni ma richiedendo, molto probabilmente, interventi d’adattamento al telaio? In caso di modifiche strutturali agli pneumatici, sarebbero permessi adattamenti sospensivi e aerodinamici – studiati per forza di cose dal venditore – o verrebbe tutto lasciato alle capacità, inevitabilmente limitate e limitanti, degli ingegneri di pista delle scuderie clienti?


La storia della massima serie non è del tutto priva di costumer cars. Anzi, queste fiorirono dagli albori del campionato fino all’introduzione delle kit-car dei garagisti (categoria della quale abbiamo parlato qui). Erano però stagioni del tutto differenti, in particolare visti i tempi agonistici di un modello che tendevano a superare di gran lunga il singolo campionato. Ritornando ad una proposta simile a quella fin qui descritta, le moto clienti hanno avuto un ruolo preponderante nella fortuna della MotoGP. Parliamo di due sport del tutto diversi, e gli esiti difficilmente si equivarrebbero. Il confronto però è molto più solido rispetto a quello presentato dai detrattori dell’idea di Horner, paragone che vede una F1 con vetture clienti avvicinarsi al DTM. La preoccupazione di quest’ultimi è che la massima serie, come accaduto al turismo tedesco, diventi eccessivamente dipendente dai grandi costruttori, rischiando crisi imprevedibili. La comparazione, secondo chi scrive, è sbagliata nelle premesse. Nel DTM odierno esistono (o esistevano, dati gli ultimi sviluppi) solamente team semi-ufficiali, ossia scuderie supportate dai costruttori che decidono d’impegnarsi in un campionato, è bene ricordarlo, popolato da vetture molto vicine a quelle di un monomarca. Uno scenario diametralmente opposto a quello prospetto per la massima serie, la quale già oggi in realtà è dipendente dalle Grandi Case. Cosa succederebbe se Renault, Mercedes e Honda lasciassero improvvisamente? Nel contesto regolamentare odierno non esistono fattori che diminuiscano le probabilità di una catastrofe del genere, mentre le vetture clienti paradossalmente potrebbero esserlo, data la capacità di generare profitti che aumenterebbero la sostenibilità economica dei programmi dei grandi Costruttori.


I piccoli team indipendenti hanno reso nel corso del tempo le vetture clienti dei veri e propri tabù. Coniugarle alla mole di ricerca e sviluppo caratteristica della massima serie potrebbe essere complesso; eppure diverse scuderie, rimanendo nei limiti regolamentari, si sono già mosse nella loro direzione. Discutere seriamente della proposta farebbe bene all’ambiente: tra Budget Cap e bargeboard si potrebbe scoprire di aver sempre avuto in tasca la soluzione.

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